Béla Horthy lo rintraccia nel corridoio di uno dei piani bassi della Gran Torre del Khan e dice, fingendo di non guardarlo: — Frank mi dice che intendi restare qui.
— Per il momento — dice Shadrach. — Ho bisogno di pensare.
— Pensare è utile. Sì. Ma perché pensare restandotene a Ulan Bator?
— È qui che vivo.
— Per il momento — dice Horthy. Fa un giro su se stesso e guarda dritto Shadrach, con fare deciso. La vivacità abituale dei suoi occhi da ipertiroideo è velata dalla preoccupazione. Dev’essere uno dei cospiratori anche lui, capisce Shadrach senza scoprirsene terribilmente sorpreso. Horthy gli dice in tono dolce: — Scappa, Shadrach.
— A cosa servirebbe? Mi prenderanno.
— Ne sei sicuro? Buckmaster non l’hanno ancora preso.
— Non hai paura a dire cose del genere? Potrebbero esserci…
— Rilevatori nei muri?
— Sì.
— Rilevano tutto. Registrano tutto. E allora? Chi è in grado di esaminare tutti i nastri? I Citpol annegano nei dati. Tutti i canali-spia sono inondati da fiumi di cospirazione, per la maggior parte folle e immaginaria. Non ci sono sistemi filtro che possano eliminare il rumore inutile. — Horthy strizza l’occhio. — Vattene. Come ha fatto Buckmaster.
— È inutile.
— Non credo. Ti consiglio la fuga. Ti consiglio
Horthy sorride. Stringe la mano di Shadrach per un attimo.
Mentre Horthy se ne va, Shadrach gli grida dietro: — Ehi! Ci sei dentro anche tu?
— Dentro a che? — chiede Horthy, e ride.