— Valutare? Valutare? Ma certo, dovevo aspettarmi di sentirti dire qualcosa del genere! — Ficifolia, nonostante il tentativo di non dare nell’occhio, non riesce a controllare le emozioni; alza la voce; gesticola con forza. — Lo sai, Shadrach, questo non è mai stato il posto per te. Non sei abbastanza matto per trovarti a casa tua qui. Sei così calmo, ragionevole, vuoi sempre pensarci su, vuoi fermarti a valutare quando hai il coltello alla gola… e come sei atterrato qui? Questo è un posto per dei folli. Parlo seriamente. I pazzi stanno dirigendo il manicomio, e il pazzo capo è il più fuori di tutti; e tu semplicemente non c’entri niente con noi. Ti viene in mente qualcosa di più folle di un mondo pieno di gente che sta marcendo, amministrato da qualche migliaio di burocrati imbottiti di Antidoto e guidato da un signorotto mongolo di novant’anni che progetta di vivere in eterno? Questo sarebbe normale? Questo è il risultato logico di cinquecento anni di imperialismo occidentale? E gli occhi-spia in ogni angolo? I vettori di sorveglianza che registrano queste stesse parole in questo preciso momento, per darle in pasto a dio solo sa che razza di macchina, dove potrebbero non essere digerite per tremila anni? I poliziotti robot? I vivai di organi? Chiunque inizi anche soltanto ad accettare questo mondo per quello che sembra è un pazzo; ed è questo che siamo, tutti, dei pazzi, da chi sta più in alto giù giù fino all’ultimo di noi, Avogadro, Horthy, Lindman, Labile, io, tutta la squadra. Tranne te. Così solenne, così controllato, così fatalista. Lavoro, lavoro, tu e Warhaftig, fate il vostro lavoro, attaccate un nuovo fegato nella pancia del Khan, non sorridete, non vi dite mai che è pazzesco guadagnarsi da vivere in questo modo, non percepite neanche la follia, perché siete così intimamente sani di mente… no, Warhaftig no: lui o è un robot o è un pazzo anche lui, ma tu, Shadrach, imperturbabile, farcito di congegni elettronici e neanche questo ti turba. Non hai mai voglia di urlare, di sbavare? Devi proprio accettare tutto? Accetti anche l’idea che Gengis Mao ti sfratterà da quel cazzo di testa, la tua testa? Accetti… — Bruscamente Ficifolia si frena, riprendendo il controllo di sé, dopo un lieve sussulto e una rapida serie di tic e di contrazioni dei muscoli della faccia. Con più calma, con una voce completamente diversa, dice: — Seriamente, Shadrach, sei nei guai grossi. Dovresti sparire finché puoi ancora.
Shadrach scuote la testa. — Nascondermi non è nel mio stile.
— E morire?
— Non in modo particolare. Ma non mi nasconderò. Non è da me. La mia gente ha finito di nascondersi. I giorni della ferrovia sotterranea sono finiti per sempre.
— “La mia gente ha finito di nascondersi”! — dice Ficifolia, facendo il verso a Shadrach in tono duro, con voce acuta. — Cristo. Cristo! Forse ti ho sottovalutato. Forse sei pazzo come tutti gli altri. Gengis Mao ti ha condannato a morte, ti ha messo sulla lista nera, e per te l’orgoglio razziale viene prima della sopravvivenza. Bravo, Shadrach! Molto nobile. Molto stupido.
— E dove potrei andare? I giocattolini del Khan mi spieranno dovunque. I giocattolini che gli hai inventato tu.
— Ci sono dei modi.
— Mascherarmi? Dipingermi la pelle di bianco? Mettermi una parrucca bionda?
— Potresti sparire come ha fatto Buckmaster.
Shadrach resta paralizzato. — Posso fare a meno di battute del genere in questo momento, Frank.
— Non sto parlando dei vivai. Parlo di sparire. Buckmaster l’abbiamo “fatto sparire” noi.
— Buckmaster non è morto?
— Vivo e vegeto. Abbiamo modificato il libro mastro del personale il giorno in cui è stato condannato. Abbiamo ritoccato cinque o sei bit, e ora i registri mostrano che Roger Buckmaster è finito ai vivai di organi il giorno tale, e che è stato ritagliato a dovere. Una volta che è nei registri, è più vero della realtà stessa. La realtà delle macchine è un ordine di realtà superiore alla realtà-realtà. Se ora Buckmaster appare su uno dei rilevatori del Khan, il computer deciderà che il dato è privo di senso e lo respingerà, perché si sa che Buckmaster è morto, e per definizione i morti non se ne vanno in giro per strada.
— Dove si trova?
— Questo ora non ha importanza. Quel che importa è che l’abbiamo salvato, e che possiamo salvare te.
— Abbiamo? Chi è questo noi?
— Neanche questo ha importanza.
— Dovrei credere a qualcosa di quello che mi hai detto, Frank?
— No. Certo che no. Sono tutte palle. A dire il vero, sono una spia del Khan e sto cercando di incastrarti. Cristo, Shadrach, usa la testa! Credi che stia cercando di metterti nei guai? Tu sei nei guai. Sto rischiando il culo per…
— Okay. Lascia che ci pensi, Frank.
— E allora pensaci, in fretta.