— Continuare a essere il suo medico. Proteggerle la salute e sforzarmi di prolungarle la vita. Restare al suo fianco e servirla come prevede il mio giuramento.
— È
— È tutto. Anzi, c’è solo una cosa ancora, signore.
— Sentiamo.
— Le richiedo un posto nel Comitato, signore.
— Ah.
— In particolare, voglio l’autorità nella sfera della salute pubblica. La politica sanitaria del governo.
— Ah. Sì.
— Il controllo sulla distribuzione dell’Antidoto, signore. Intendo sviluppare un programma di distribuzione immediata e generalizzata fra la popolazione sana — dice Shadrach. — E far espandere i programmi di ricerca finalizzati all’elaborazione di una cura permanente della decomposizione organica. Vale a dire, un capovolgimento totale di quella che mi risulta essere la politica attuale del CRP.
— Ah! — Gengis Mao comincia a ridere. — Ora viene a galla! Allora
Uscito dall’Eremo del Khan, il percorso di ritorno di Shadrach verso il suo appartamento lo conduce attraverso il proprio studio, attraverso il Vettore di Comitato Uno, fino al Vettore di Sorveglianza Uno, dove si ferma un attimo, com’è sua abitudine, a osservare lo spettacolo sugli schermi frenetici. Nella Gran Torre del Khan tutto è tranquillo. È notte fonda; l’Asia intera è addormentata. Ma per tutto il pianeta, là fuori nel Reparto Traumatologia, la vita continua, e così la morte. Shadrach è in piedi davanti alla moltitudine di monitor, ne segue il fluire casuale, segue le sofferenze, gli sforzi, le lotte, i decessi. I morti che camminano, che vagano per le strade di Nairobi, Gerusalemme, Istanbul, Roma, San Francisco, Pechino, si trascinano attraverso i continenti, la processione dei dannati, dei perduti, dei torturati, dei condannati. Da qualche parte là fuori c’è Bhishma Das. Da qualche parte, Meshach Yakov. Da qualche parte, Jim Ehrenreich. Shadrach augura loro la felicità e la salute, per tutto il tempo che resta loro da vivere. A tutti, felicità! A tutti, salute!
Pensa al riso di Gengis Mao. Come sembrava divertito il Khan dalla propria situazione! Com’era sollevato, quasi, vedendosi rubare l’autorità ultima dalle mani! Ma il Khan sfugge alla comprensione; il Khan appartiene a un’altra specie, misterioso, incomprensibile, imperscrutabile nel senso più profondo. Shadrach non sa veramente cosa succederà adesso. Non riesce a immaginare quale contromossa Gengis Mao potrebbe aver già architettato, quali trappole stia congegnando in quello stesso momento. Shadrach procederà con grande attenzione e spererà in bene. Ha collocato una bomba dentro a Gengis Mao, sì, ma ha anche preso una tigre per la coda, e deve stare attento a non inciampare tra le metafore, rimanendone annientato.
È lì in piedi, ipnotizzato dalla danza abbagliante dei monitor del Vettore di Sorveglianza Uno. È il quattro luglio del 2012. Mercoledì. Una pioggia dolce sta cadendo su Ulan Bator, che settimana prossima sarà ribattezzata Altan Mangu in onore del viceré assassinato, già dimenticato dai più. Nel corso di questa notte la morte viaggerà per il mondo, mietendo le sue migliaia di vittime; ma al mattino, giura Shadrach Mordecai, le cose inizieranno a cambiare. Stende la mano sinistra. La studia come se fosse un oggetto di giada preziosa, dell’avorio più raro. Accenna a ripiegarla, come per serrare il pugno ma senza chiuderlo del tutto. Sorride. Porta i polpastrelli alle labbra, e con un soffio manda un bacio al mondo intero.