Effettivamente sono passate settimane dall’ultima volta in cui è entrato nel laboratorio di Avatar, poco prima della morte di Mangu, e normalmente il suo ritmo di lavoro lo portava a visitare ciascuno dei progetti almeno una volta al mese. Ma ora Eis non si sforza di farlo sentire benvenuto. Nei momenti migliori è un uomo dalle maniere formali, privo di senso dell’umorismo, un teutone da caricatura, rigido, mascella squadrata e spalle squadrate, molto nordico; gli occhi azzurri ghiacciati, denti perlacei, capelli biondi lunghi, gli manca solo la cicatrice del duello. Shadrach è abituato alla freddezza ariana del dottor Eis; ma oggi nei suoi modi c’è qualcosa di nuovo, una sorta di ostilità gratuita, un fare quasi paternalistico, un vago disprezzo, e Shadrach ne è turbato perché sospetta che abbia a che fare col suo improvviso coinvolgimento personale nelle sorti del Progetto Avatar.
Eis è
Nonostante tutto, formalmente è Shadrach che comanda qui, ed Eis deve cedere. Per quanto indaffarato sia il personale del laboratorio, Shadrach potrà fare la sua ispezione. E qui sono davvero tutti indaffarati, frenetici: sono in corso esperimenti di ogni sorta con animali di ogni sorta, mentre dei tecnici spostano macchinari da una stanza all’altra sudando e imprecando, e uomini e donne in camici da laboratorio si aggirano con occhi stravolti, brandendo tabulati. Un vero circo, assolutamente comico e maniacale, degli scienziati pazzi al lavoro, disperatamente intenti a far quadrare il cerchio entro la scadenza prefissata.
Shadrach si sente a disagio quando riflette sul fatto che è
Nikki, in ogni caso, non pare presa dalla frenesia generale. Chiamata da Eis, saluta Shadrach in modo assolutamente privo di emozioni. Il Progetto, gli dice, sta facendo progressi regolari. Lo sguardo è fermo, la voce centrata e composta. “Progressi”, in questo laboratorio, può solo significare il processo quotidiano del portare Shadrach più vicino alla sua distruzione, e lei è certamente consapevole del fatto che Shadrach attribuirà questo significato alle sue parole; ma pare che abbia deciso di smettere di sentirsi in colpa, o di essere evasiva. Hanno già avuto il loro incontro, i conti sono stati regolati: lei ha ammesso di essere stata disposta a tradire il proprio amante a vantaggio di Gengis Mao; ora la vita continua, duri quanto deve durare, e lei ha un compito da svolgere. Tutto questo passa tra di loro nello spazio di novanta secondi, e niente è comunicato ricorrendo alle parole, bastano il tono della voce e l’espressione degli occhi. Shadrach si sente sollevato. Non gli piace che la gente si senta in colpa a causa sua; lo fa sentire in colpa a sua volta, in qualche modo oscuro.
— Dovrei dare un’occhiata ai macchinali — dice.
— Vieni.