È una fresca giornata d’estate a Ulan Bator. In metà del pianeta è estate, in questo momento. La stagione degli innamorati. Il Vettore di Sorveglianza Uno mi mostra gli innamorati che camminano a braccetto per le strade di Parigi, Londra, San Francisco, Tokyo. Gli sguardi dolci, i bacini, lo sfregare di fianchi contro fianchi. Anche quelli con gli organi che stanno marcendo se ne trottano insieme, stanno morendo lentamente ma eseguono ancora la danza dell’amore. Sciocchi! Mi sembra di ricordare come fa quella danza, anche se per me è passata da quaranta o cinquant’anni. Sì, sì, il primo incontro, le tensioni e le valutazioni preliminari, avvicinarsi ed evitarsi, la scintilla del contatto, le barriere che si dissolvono, il primo abbraccio, le paroline tenere, le promesse, il senso di complicità, noi due contro il mondo, assumere che tutto questo durerà per sempre, scoprire che non sarà così, litigare, lasciarsi, separarsi, superare, dimenticare… oh, sì, l’uomo che è Gengis Mao ha danzato questa danza, un tempo, molto tempo prima di essere Gengis Mao; ha giocato a questo gioco, un tempo. Molto tempo fa. A che scopo esiste? Un anestetico per l’io che soffre. Un lubrificante per le necessità biologiche. Un diversivo, una distrazione, una sciocchezza. Quando l’ho visto per quello che era, ci ho rinunciato, e senza rimpianti. Guardali, come passeggiano insieme. “Amore eterno”. Come se ci fosse qualcosa di eterno… l’amore poi! L’amore? È uno stato instabile, un’impossibilità termodinamica, due fonti di energia, due soli che cercano di sistemarsi in orbita l’uno attorno all’altro, e ciascuno dei due cerca di dare all’altro luce e calore. Suona così carino, e così poco plausibile. Naturalmente il sistema crolla sotto la tensione gravitazionale prima o poi, e uno dei due riduce l’altro in pezzi, oppure cadono a spirale ed entrano in collisione, o ancora se ne rotolano via in direzioni opposte. Uno spreco di energia, uno spargimento inutile di forza vitale. L’amore? Abolirlo. Se solo potessi.
4 gennaio 1989
Il testo della mia dottrina è completato, e quando arriverà il momento giusto la rivelerò al mondo. Oggi, mentre finivo gli ultimi passi, mi è venuto in mente un nome adatto: depolarizzazione centripeta. Definita come l’edificazione di un consenso tra enti irriconciliabili, attraverso l’illusione del conseguimento dei fini reciprocamente esclusivi di ciascuno. E spazzerà il mondo allo stesso modo irresistibile delle orde del vecchio padre Gengis.