Naturalmente, non esiste un diario del genere. Dei ladri qualunque, dei criminali da mezza tacca, possono mettere a rischio la loro sicurezza per un impulso insopprimibile, ma Shadrach conosce Gengis Mao abbastanza bene da rendersi conto che, se vuole vivere nel mistero, non lascerà in giro memorie nascoste che qualcuno potrebbe rinvenire. Il Gengis Mao privato ha un’attenzione alla segretezza pari solo a quella del Gengis Mao pubblico: apri una scatola vuota e dentro ce n’è un’altra, più vuota ancora. Non importa. Nel suo ruolo fantastico di biografo di Gengis Mao, Shadrach fantasticherà anche sulle memorie del Khan, inventerà il materiale e le fonti che Gengis Mao ha trascurato di fornire. Shadrach chiude gli occhi. Lascia l’immaginazione libera di vagare. Crea il diario del Khan nel crogiolo del proprio cervello pulsante.
11 novembre 2010
È il mio compleanno. Gengis Mao compie ottantacinque anni quest’oggi. No. No. Gengis Mao ha… quanti anni? Venti? Qualcosa del genere. È Dashiyin Choijamste che compie ottantacinque anni oggi. Dashiyin Choijamste, che porto dentro di me come un gemello interiore. Chi se lo ricorda, quel neonato grassoccio tra le braccia del padre orgoglioso? Tanto tempo fa, nel villaggio di Dalan-Dzadagad in una notte nevosa del 1925. È nella provincia del Gobi Meridionale, Dalan-Dzadagad. Non ci vado da quindici anni. È il posto dove sono nato, ma nessuno lo sa. Nessuno sa niente. Io lo so, Dashiyin Choijamste compie ottantacinque anni oggi. Quanti ce n’è in giro ancora vivi, di quelli che erano nati l’undici novembre del 1925? Non molti, no. E quelli che restano sono delle rovine ambulanti. Mentre io sono ancora al mio meglio, io, Dashiyin Choijamste di Dalan-Dzadagad, figlio di Yumzhagiyin Choijamste, direttore dell’allevamento di cammelli di Bogdo-Goom. Io, Gengis Mao. Mi sento in forma oggi, oh, sì, ottantacinque anni e una gran forza. E non solo grazie ai trapianti. È una cosa ereditaria. Il buon vecchio sangue tataro. Non dimenticartelo, avevi quasi settant’anni quando è scoppiata la Guerra Virale, eppure eri tutt’altro che vecchio, un vigore impressionante, tutti i denti sani, capelli nerissimi, passeggiate di venti chilometri tutte le settimane; non avevi ancora avuto trapianti. Eri ancora Dashiyin Choijamste, allora. Un suono strano, scorre male sulla lingua adesso, anche se è stato il tuo nome per più di sei decenni. E sono sopravvissuto alla Guerra Virale, senza alcun segno della decomposizione. La gente attorno a me cadeva a pezzi. Uno spettacolo da far torcere le budella. Non sono ricorso ai trapianti fino a che la vecchiaia naturale non ha dato i primi segnali, più tardi, molto più tardi: l’ho fatto, alla fine, ma non prima che il potere fosse nelle mie mani. Il potere. Ho conquistato il potere supremo. E ora medici esperti aiutano il mio naturale vigore tataro. Potrei vivere altri cinquant’anni.