— Ami ancora Nikki? Anche lei ti ha tradito, questo lo sai. È andata da Gengis Mao, ha sentito che lui ti aveva selezionato per Avatar, probabilmente ha cercato di convincerlo a cambiare idea… questo
Shadrach scuote la testa, come intontito.
— Tutto questo è irreale, Katya.
— Quello che ti ho detto oggi è tutto vero.
— Ma Nikki…
— Ha paura di Gengis Mao. Come ne ho paura io, come ne hai paura tu, come tutti in questa città, tutti al mondo. È questa la misura del suo amore per te: la paura nei confronti di quel vecchio pazzo è più forte. Se mi fossi trovata nella sua situazione, può darsi che avrei fatto la stessa scelta. Ma non si tratta del mio progetto. Io non mi trovo di fronte alla scelta se tradire te oppure sfidare il Khan. Sono libera di agire dietro le sue spalle, di avvertirti, di fare in modo che tu possa prendere le tue decisioni da solo. Però è strano, no? Nikki, bella, alta, affettuosa, innamorata, accetta di tradirti. E Katya, aspra, vendicativa, tozza e brutta, rischia la vita per metterti in guardia.
— Tu non sei brutta — mormora Shadrach.
Katya scoppia a ridere. — Vieni qui — dice. Seduta sul bordo del letto, lo avvicina a sé, gli prende la testa e la fa sprofondare tra i suoi seni. — Riposati. Pensaci su. Pensa cosa fare, Shadrach. Se non lo fai sei perduto. — Gli accarezza la fronte dolorante.
Stanno seduti così, silenziosi, per molto tempo. Poi Shadrach si alza, incerto, si libera dei vestiti; dopo un suo gesto, anche lei comincia a spogliarsi. Shadrach dovrà operare il Khan domani, ma per una volta non se ne preoccupa. Si protende verso di lei. Copre il corpo stranamente sottomesso di Katya con il proprio, afferrandole le spalle ampie e carnose con le lunghe braccia magre, scure, premendo il petto ossuto contro i seni, morbidi cuscini, e le gambe le si spalancano e lui si tuffa in profondità dentro di lei, e rimane così, immobile, raccoglie le forze, raccoglie i pezzi di se stesso e li rimette insieme, fino a quando non è pronto a muoversi.
Il giorno seguente è il giorno dell’innesto sull’aorta di Gengis Mao. Dopo il solito breve sonno ristoratore Shadrach si sveglia, fa ginnastica, fa colazione, si veste, affronta il passaggio di Interfaccia Tre, fa una sosta per ispezionare gli ultimi sviluppi nel Reparto Traumatologia con un’occhiata al Vettore di Sorveglianza Uno: la routine standard di tutte le mattine. La danza degli obiettivi delle videocamere gli mostra i due miliardi di abitanti del pianeta, un quinto di loro probabilmente vittima della decomposizione organica, i morti deambulanti, che girano pieni di perforazioni e lesioni, gli organi putrefatti; e quasi tutti gli altri che sono rimasti integri, rimasti a vivere nell’ombra di quel male universale, ad affrontare la parodia di una vita normale con un coraggio privo di allegria, ad aspettare di sputare sangue e sentire il fuoco nelle viscere, a guardare i semidei di Ulan Bator con occhi invidiosi e perplessi. Mentre lui, l’agile Shadrach Mordecai, il bel dottore del Khan, non ha nessuna preoccupazione più grave dell’essere sfrattato dal suo stesso corpo slanciato, del ricevere un calcione sul culo nero, così che un usurpatore mongolo possa traslocare nel suo cranio. A parte questo, Shadrach, va tutto bene, no? Certo. ’Gnorsì, boss.
Andando a prendere Gengis Mao per il viaggio tradizionale, familiare, sul lettino che lo porterà dalla camera da letto alla Sala di Chirurgia, Shadrach si domanda come reagirà quando si troverà faccia a faccia con il Khan. Sicuramente la sua espressione tradirà la consapevolezza da poco acquisita; sicuramente Gengis Mao, con i suoi quasi novant’anni di astuzia, capirà al volo che la sua vittima designata ha mangiato la foglia. Ma Shadrach scopre che la sua misteriosa tranquillità di spirito non lo abbandona neanche quando si trova a guardare il Khan negli occhi. Non prova niente, né paura né rabbia né risentimento: il Presidente è il paziente, lui è il medico, i sensori pulsano e scattano, lo caricano di informazioni, e questo è tutto, nel loro rapporto niente è mutato. Guarda Gengis Mao e pensa: “Tu stai complottando per rubarmi il corpo”, e non succede niente, nessun effetto. Tutto rimane irreale per lui.
— E allora, come sto questa mattina, Shadrach? — chiede Gengis Mao, gioviale.
— Splendidamente, signore. Mai stato meglio.
— Mi tagliate via il cuore, allora?
— Solo l’aorta, per questa volta — dice Shadrach. Fa un cenno agli attendenti, che conducono via il Presidente.