Читаем Shadrach nella fornace полностью

— Americano?

— Sì — dice Shadrach.

— Anch’io lo sono. Per così dire. Mio padre mi ha portato qui quando avevo sette anni. In un kibbutz in Galilea. Immediatamente dopo la proclamazione dello Stato di Israele, nel 1948. Ho combattuto nel Sinai nel 1967, la Guerra dei Sei Giorni, ed ero qui al Muro a pregare nei primi giorni dopo la vittoria, e ho sempre vissuto a Gerusalemme dopo di allora. E il Muro per me è ancora il centro del mondo. Vengo qui tutti i giorni. Anche se in realtà non c’è più uno Stato di Israele. Anche se non ci sono più stati da nessuna parte, non ci sono più sogni, non ci sono più… — Si interrompe. — Mi perdoni. Parlo troppo. Desidera pregare davanti al Muro?

— Ma non sono ebreo — dice Shadrach.

— E cosa importa? Venga con me. È cristiano?

— Non particolarmente.

— Nessuna religione?

— Nessuna religione ufficiale. Ma mi piacerebbe andare al Muro.

— Venga con me, allora. — Percorrono la piazza a grandi passi, il piccolo vecchio e il giovane imponente. Il compagno di Shadrach dice: — Io mi chiamo Meshach Yakov.

— Meshach?

— Sì. È un nome biblico, dal Libro di Daniele. Era uno dei tre ebrei che sfidarono Nabucodonosor quando il re ordinò loro di…

— Lo so — esclama Shadrach. — Lo so! — Sta ridendo. Ribolle di gioia. È un momento delizioso. — Non c’è bisogno che mi racconti tutta la storia. Io sono Shadrach!

— Prego?

— Shadrach. Shadrach Mordecai. È il mio nome.

— Il suo nome — dice Meshach Yakov. Ride anche lui. — Shadrach. Shadrach Mordecai. È un bel nome. Sarebbe un bel nome israeliano. Con un nome del genere, non è ebreo?

— I geni sbagliati, immagino. Ma suppongo che se mi convenissi non dovrei preoccuparmi di cambiare nome.

— No. No. Un bel nome ebraico. Shalom, Shadrach!

— Shalom, Meshach!

Ridono insieme. Sembra una scena classica da vaudeville, pensa Shadrach. Quel Citpol che occhieggia là in fondo… è lui Abednego? Sono davanti al Muro ora, e le risate si spengono. Gli enormi blocchi di pietra consumata dal tempo sembrano incredibilmente antichi, vecchi come le Piramidi, vecchi come l’Arca. Meshach Yakov chiude gli occhi, si sporge in avanti, poggia la fronte contro il Muro come per salutarlo. Poi guarda Shadrach.

— Come posso pregare? — chiede Shadrach.

— Come? Come? Prega in qualunque modo hai voglia di pregare! Parla col Signore! Digli delle cose. Chiedigli delle cose. Mi tocca spiegare a un uomo cresciuto come si prega? Cosa posso dirti? Solo questo: è meglio rendere grazie che invocare favori. Se puoi. Se puoi.

Shadrach annuisce. Si volge verso il Muro. La sua mente è sgombra. Il suo animo è sgombro. Lancia un’occhiata a Meshach Yakov. L’israeliano, gli occhi chiusi, sta ondeggiando lentamente col corpo avanti e indietro, mormorando fra sé in una lingua che Shadrach suppone essere ebraico. Alle labbra di Shadrach non viene nessuna preghiera. Riesce solo a pensare ai bambini inselvatichiti, alla decomposizione organica, alle facce vuote e disperate lungo la Via Dolorosa, ai manifesti di Mangu e Gengis Mao. Questo suo viaggio è stato un fallimento. Non ha imparato niente, non ha concluso niente. A questo punto potrebbe anche tornare a Ulan Bator domani, e affrontare quel che c’è da affrontare. Ma nel momento in cui formula questi pensieri, li respinge immediatamente. E quell’onda improvvisa di ottimismo che l’aveva colto mentre beveva tè con Bhishma Das? E quel momento di gioia, quella sensazione di calore e amicizia che ha provato sentendo il nome di Meshach per la prima volta? Questi due vecchi, l’indù, l’ebreo, tutti e due così forti d’animo, così pazienti e saldi sotto il peso della catastrofe mondiale… della loro forza non si è trasmesso niente a Shadrach?

Resta lì fermo per un momento prolungato, ascoltando il silenzio dentro al suo corpo, l’assenza di segnali da Gengis Mao, e decide che non è ancora tempo di tornare a Ulan Bator. Andrà avanti. Porterà a termine il suo giro.

Sottovoce, troppo imbarazzato per lasciarsi udire da Meshach, dice: — Grazie, o Signore, per aver creato questo mondo e per avermi permesso di viverci fino a ora. — Meglio rendere grazie che invocare favori. Ma in ogni caso, invocare favori non è proibito. Tra sé, Shadrach aggiunge: — E permettimi di rimanerci ancora un po’, Signore. E mostrami come posso renderlo un po’ più simile al luogo che Tu volevi che fosse. — La preghiera suona stupida alle orecchie di Shadrach, sdolcinata, ingenua. Ma allo stesso tempo non da disprezzare. Allo stesso tempo non da disprezzare. Se gli fosse concesso di rivivere quel momento, non cambierebbe quella preghiera, anche se non gli piacerebbe neanche ammettere davanti a qualcuno di averla pronunciata.

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