È impossibile sfuggire al ventunesimo secolo, anche all’interno di queste mura medievali. Salendo verso il Golgota, Shadrach vede, affisso per ogni dove, l’abituale manifesto che piange la morte di Mangu, il volto dolce del giovane su uno sfondo giallo vivo. La presenza di Mangu non era assente da Nairobi, naturalmente, ma in quella città spaziosa e ariosa i manifesti erano meno oppressivi, facilmente oscurati dai colori della bouganvillea e della jacaranda. Qui, le pesanti mura di pietra trasudano vistose immagini di Mangu sopra a viuzze larghe a malapena per tre persone affiancate, chiazze gialle a cui non si può sfuggire, e vedendole si avverte la mano malvagia di Gengis Mao coprire la città, imporle un lutto poco sentito per il viceré scomparso. Lo stesso Gengis Mao è presente in modo più immediato; i suoi tratti induriti occhieggiano, familiari e sinistri, da stendardi gonfiati dal vento che adornano tutti gli incroci delle strade principali. I locali prendono queste immagini straniere con la stessa casualità con cui, non c’è dubbio, hanno preso un tempo i manifesti e le bandiere di Nabucodonosor, Tolomeo, Tito, Cosroe, Saladino, Solimano il Magnifico, e tutti gli altri intrusi destinati a scomparire; ma per Shadrach queste facce mongole riprodotte risuonano nella coscienza come altrettante campane plumbee che contano le ore che gli restano.
E poi, anche la decomposizione organica. Non è una presenza vistosa come a Nairobi, forse, perché lì i casi terminali vagavano soli nei viali ampi, inciampando e barcollando per zone private di spazio libero. La vecchia Gerusalemme è troppo affollata perché si vedano scene del genere. Ma non scarseggiano le vittime, che tremano e sudano e brancolano per la Via Dolorosa. Di tanto in tanto uno si arresta, si appoggia contro un muro, insinua le dita tra le pietre per sostenersi. Le Stazioni della Croce sono indicate da lapidi nelle mura: qui Gesù ricevette la croce, qui cadde per la prima volta, qui incontrò Sua Madre, e così via. E qui, su per la Via Dolorosa, vanno i morenti, persi nelle loro crocefissioni personali. Come a Nairobi, fissano il vuoto, senza dare l’impressione di vedere alcunché. Ma alcuni tendono le mani verso Shadrach, come se implorassero la sua benedizione. Questa è una città dove i miracoli non sono stati infrequenti, e lo sconosciuto nero è un uomo di grande dignità e presenza: chissà, forse un nuovo Salvatore percorre queste strade? Ma Shadrach non ha miracoli da offrire, nessuno. Non può niente. È un uomo morto, esattamente come loro, anche se cammina ancora. Come loro.
Si sente troppo vistoso, troppo alto, troppo nero, troppo straniero, troppo sano. Dei mendicanti, per la maggior parte bambini, gli si accalcano attorno come mosche. “