Una tentazione. Shadrach cenerà da solo, altrimenti, nel suo hotel, straniero in questa strana città, si ritroverà solo ed esposto al pericolo. Però… no: impossibile. Uno di questi interessanti professionisti indù gli chiederà sicuramente dove vive, che attività medica svolge, e a quel punto potrebbe solo mentire, cosa che gli ripugna, oppure confessare tutto: membro dell’élite privilegiata della dittatura, medico personale del terribile Gengis Mao, eccetera, e tanti auguri alla sua nuova reputazione di benefattore e filantropo. La verità su di lui disgusterà gli amici di Bhishma Das, e umilierà Das stesso. Shadrach mormora delle scuse, e qualche formula di rammarico che riesce a suonare convincente. Mentre si sta avvicinando alla porta, Das lo segue, dicendo: — Accetti almeno un dono da me, un ricordo dell’ora incantevole che abbiamo trascorso insieme. — Il mercante lancia rapidamente un’occhiata tra i suoi scaffali, cercando in mezzo alle lance, le collane di perline, le statuette di legno: tutto evidentemente troppo rozzo, troppo frivolo, troppo insignificante o troppo ingombrante per costituire un omaggio adatto a un ospite tanto distinto, e per un istante sembra che Shadrach sia destinato a lasciare il negozio a mani vuote; all’ultimo momento, però, Das raccoglie un piccolo corno di antilope, con un foro nell’estremità appuntita e della cera a tappare la base. Un corno che funge da coppetta chirurgica, a quanto spiega Das, usato da una tribù che vive vicino alla frontiera meridionale per estrarre il dolore e gli spiriti maligni dal corpo dei malati: si applica la coppetta alla pelle, si succhia, si crea il vuoto e si sigilla con il tappo di cera. Lo offre a Shadrach, dicendo che è un dono adatto per una persona che ha la missione di guarire i suoi simili, e Shadrach, dopo qualche complimento, lo accetta volentieri. Nella sua collezione non ha nessuno strumento medico che provenga dall’Africa Orientale. — Li usano ancora — lo informa Das. — Li usano molto proprio ora, per tirare fuori lo spirito della decomposizione organica. — Saluta Shadrach con un inchino, ripetendogli più volte come la sua visita sia stata un onore, che piacere gli abbia donato sentire le parole di speranza del medico.
Lungo il percorso che attraverso sette isolati lo riporta all’hotel, Shadrach conta quattro cadaveri abbandonati per la strada, e un corpo che non è ancora morto del tutto, ma lo sarà presto.
21
Al mattino riprende il suo viaggio, con un volo diretto a Gerusalemme. Con la curva del pianeta che scorre sotto di lui, ancora una volta è sconvolto dalla sua complessità, dalla sua ricchezza: questo globo che ospita Atene e Samarcanda, Lhasa e Rangoon, Timbuctù, Benares, Chartres, Gent, tutte le opere affascinanti di un’umanità che sta sparendo, e tutte le meraviglie naturali, il Gran Canyon, il Rio delle Amazzoni, l’Himalaya, il Sahara; così tanto, così tanto, per un piccolo grumo cosmico di materia, una tale varietà e un tale affollarsi di visioni magnifiche. Ed è tutto suo, per tutto il tempo che gli rimarrà prima che Gengis Mao lo inviti a lasciar perdere il mondo e a tornare. A differenza di Bhishma Das, non si sente pronto ad andarsene in qualunque momento, quando arriverà l’ordine di mettersi in marcia. Il mondo, ora che è tornato a muovercisi dentro, gli pare molto bello, e ne ha visto così poco. Ci sono montagne da scalare, fiumi da attraversare, vini da assaggiare. Lui che è stato risparmiato dalla decomposizione non vuole trovarsi a soccombere di fronte all’ansia di immortalità di un altro uomo. La passività ha abbandonato Shadrach: non accetta il destino che gli è stato prefissato. Bhishma Das l’ha chiamato ottimista, uomo saggio e buono che s’illumina in volto mentre parla dei tempi migliori che verranno e, seppure Shadrach non si fosse mai raffigurato così, gli fa piacere che Das l’abbia visto in quella luce, che quelle parole di speranza così inattese gli siano scivolate fuori dalle labbra. È gradevole sentirsi rappresentare come un uomo di spirito solare, essere fonte di speranza e fiducia. Si prova l’immagine e trova che gli stia bene addosso. È un po’ come sorridere quando non si è di umore allegro e sentire che il sorriso si fa strada verso l’interno, dai muscoli della faccia verso l’anima: perché