Dunque non soffrirò la decomposizione, dopotutto. Ho preso oggi la mia prima dose del farmaco di Roncevic. Dicono che se dai prelievi non risulta traccia del virus in stato attivo prima della prima iniezione, sei al sicuro, ma che l’antidoto non può fare niente per aiutarti una volta cominciata la fase letale. I miei prelievi erano puliti: non corro rìschi. Non ho mai dubitato che mi sarei salvato. Non era scritto che morissi nella Guerra Virale: dovevo cavarmela, sopravvivere all’olocausto generale e restare in vita fino a questo momento. Che è il mio momento, finalmente giunto. “Lei vivrà per cent’anni”, mi ha detto Roncevic stamattina. Intende dire altri cento anni? O cento in tutto? In quel caso me ne resterebbero solo venticinque circa. Troppo pochi, troppo pochi.
Comunque vadano le cose, vivrò più a lungo del povero Roncevic. È già stato colpito dalla decomposizione, che gli arde nel ventre. Come si è dato da fare per mettere a punto il farmaco, come sperava di salvarsi! Ma non ha fatto in tempo. La malattia ha raggiunto lo stadio attivo troppo presto, e Roncevic se ne va. Lui se ne va, io rimango: ha recitato il ruolo che gli era stato affidato nel dramma della vita e se ne va dal palco. Mentre io continuo a vivere, magari altri cent’anni. La mia vitalità fisica è sempre stata straordinaria. Non c’è dubbio che le mie energie vitali siano di ordine superiore: eccomi qui, settanta suonati, il vigore di un giovane. Resisto alla malattia, respingo la stanchezza. Dicono che il Presidente Mao, passati i settant’anni, abbia nuotato per otto miglia nello Yang-Tze in un’ora e cinque minuti. A me il nuoto non interessa; ma so che se fosse necessario, potrei nuotare dieci miglia in quei sessantacinque minuti. Potrei nuotarne venti.