In ogni angolo delle strade ci sono immagini di Mangu. L’elegante volto mongolo osserva i passanti dalla facciata di ogni edificio, e i suoi occhi li fissano da ciascuno dei grandi stendardi appesi tra i lampioni, in alto sulle strade. All’incrocio di tre grandi vialoni, degli operai stanno diligentemente erigendo l’armatura di quella che sarà indubbiamente una grandissima statua del viceré defunto. Il processo di canonizzazione è già avanzato; giorno dopo giorno, lo scomparso Mangu viene proiettato con più evidenza nella coscienza dei cittadini della capitale del mondo, e, non c’è dubbio, di ogni altra città allo stesso modo. Mangu morto ha guadagnato un potere e una presenza che Mangu vivo non aveva mai posseduto; è davvero diventato un semidio caduto, è Baldur, Adone, Osiride, la promessa della primavera che è stata uccisa e risorgerà.
Shadrach, calmo, vaga verso il fiume, fischiettando una calda melodia romantica (qualcosa di Rachmaninov, gli pare). Si accorge che qualcuno lo sta seguendo: un uomo uscito dalla cappella di carpenteria un attimo dopo di lui. Non se ne preoccupa. Al momento, non si preoccupa di niente. Tutto lo affascina, la steppa, le colline, l’aria primaverile un po’ fredda, l’idea di essere pedinato. Perfino la futile ubiquità di Mangu lo affascina, quei lineamenti dolci e simmetrici che sono stati affissi su ogni superficie, che spuntano dalle cassette della posta, dai bidoni della spazzatura, dal basso muro bianco e liscio della passeggiata che costeggia il fiume; ci sono pennoni e striscioni con il volto di Mangu attaccati da tutte le parti, e tutto ha lo sfondo del colore di lutto dei mongoli, il giallo, che dona allo spettacolo una strana aria vivace e festosa: come se tra poco ci dovesse essere una parata in onore di Mangu, seguita dal glorioso secondo avvento del viceré. Shadrach sorride. Sporge il corpo allungato oltre il muro della passeggiata per ammirare il bellissimo fiume che scorre turbolento, reso ancora più rapido dalle correnti primaverili, e se ne marcia melodioso con rara energia, volteggiando e danzando. Shadrach immagina ruscelli affluenti che come filamenti, come viticci si disperdono attorno al canale sotto di lui, tengono insieme questa terra arida, gioiosamente portano giù acqua dalle montagne, la spingono fino al fiume e di lì al mare, un vasto sistema di arterie che serve quell’entità viva e pulsante che è la Terra; l’immagine gratifica il medico dentro di lui. Se ascolta con attenzione, si dice, potrà sentire il respiro del pianeta, e perfino il ritmo del suo cuore,
L’uomo che l’ha pedinato finora appare sulla passeggiata e si ferma poco distante da Shadrach, sulla sinistra. Fianco a fianco, guardano il fiume in silenzio. Dopo qualche momento Shadrach arrischia un’occhiata furtiva e scopre che l’uomo è Frank Ficifolia, l’esperto di comunicazioni, la persona che ha progettato il Vettore di Sorveglianza Uno. Ficifolia è un uomo basso, rotondetto, in gamba, sulla cinquantina, socievole e amante della conversazione, e il suo curioso silenzio di adesso è significativo. Entrando nella cappella di carpenteria, Shadrach aveva intravisto un volto che gli era parso quello di Ficifolia, ma l’etichetta del culto l’aveva trattenuto dal guardare meglio; ora la sua impressione riceve una conferma. Ma qui un altro tipo di etichetta frena Shadrach. Nel mondo di Gengis Mao, pieno di cimici e occhi-spia, succede frequentemente di venire avvicinati da qualcuno che desidera parlare senza dare l’impressione di una conversazione a occhi estranei. Molte volte Shadrach ha avuto lunghi scambi con qualcuno che guardava fisso nella direzione opposta, magari con qualcuno che gli stava dando le spalle. Continua dunque a studiare il fiume che scorre, senza salutare Ficifolia, in attesa.
Infine Ficifolia, dal nulla, senza guardare Shadrach, dice: — Non capisco come mai sei ancora da queste parti.
— Prego?
— A Ulan Bator. In attesa della ghigliottina. Se fossi in te sparirei, Shadrach.
— Dunque io sai…
— Lo so, sì. Diverse persone lo sanno. Cosa pensi di fare?
— Non ne sono sicuro. Me ne starò tranquillo per un po’, immagino, e ci penserò su. Ci sono molte cose che devo valutare.