Passano il cancello. Dall’altra parte della Grande Muraglia ci sono risaie, l’acqua risplende nella luce rosa del tramonto. Delle donne in ampi vestiti neri e ampi cappelli di paglia si muovono con lentezza nell’acqua che raggiunge le ginocchia, si chinano, seminano, si chinano, seminano. Un coro invisibile fuori campo. Il crescendo imponente di un suono celestiale. Katya raccoglie una ricca manciata di fango giallo e glielo scaglia contro. Glop! Anche lui le lancia del fango. Glip! Si impiastricciano a vicenda e si abbracciano, si agitano sinuosi e scivolosi. La dolcezza di questa fanghiglia! Ridono; scalpitano; inciampano e vacillano, atterrano nella risaia alzando spruzzi d’acqua, e le donne cinesi danzano attorno a loro. Huang! Ho! Le gambe di Lindman gli si stringono intorno ai fianchi. Cosce come tenaglie. Lei si protende verso di lui. Si accoppiano nel fango come bufali nella stagione degli amori. Si tengono stretti, si rotolano. Ansimano. Carne contro carne, sguazzano nella melma primordiale. Molto gratificante. Nostalgia del fango. Pancia contro pancia. Shadrach non percepisce il suo organo come qualcosa che appartenga a lui in particolare, piuttosto si tratta di qualcosa che hanno in comune, una verga indipendente che li connette, passando avanti e indietro in uno scambio agile tra i loro corpi avvinti. Senza aver raggiunto un culmine si alzano, si bagnano nell’acqua, vanno oltre, verso New York. Un vento caldo soffia in questa città, tra le torri che si ergono come pugnali contro il cielo. Su di loro cala un acquazzone di coriandoli; pungono, bruciano. Urla festose degli abitanti. A tutti, qui, gli organi stanno marcendo, ma il male è accettato; non causa allarme. I corpi dei newyorkesi sono trasparenti, e Shadrach vede il rosso delle lesioni all’interno, le aree di corruzione e decadimento, le eruzioni e le suppurazioni di intestino, polmoni, tessuto vascolare, peritoneo, pericardio, milza, fegato, pancreas. Il male si annuncia con onde di pulsazione elettromagnetica a bassa frequenza, colpisce l’anima con martellate regolari e insistenti, rosso, rosso, rosso. Questa gente è piena di buchi da capo a piedi, ma è contenta; e perché non dovrebbe esserlo? Shadrach e Katya svoltano nella Fifth Avenue. La pelle di Shadrach è bianca. Le sue labbra si sono fatte sottili. I capelli sono lisci e lunghi; gli svolazzano davanti alla faccia, togliendoli a tratti la visuale, e quando se li scosta dagli occhi si accorge che Katya ora è nera. Col naso ampio e piatto, splendidamente steatopigia, è coperta di una pelle color del cioccolato. Labbra di rubino, più dolci del vino. — Pun! - grida.
— Tang! - replica lui.
— Hot!
— Cha!
Danzano sul filo di spade taglienti. Danzano sugli ananas. Lui la vende schiava e la riscatta con il suo primogenito.
— Siamo morti? — le chiede. — Veramente morti?
— Come pietre.
— Non doveva essere una cosa meno divertente?
— Ti stai divertendo? — gli chiede lei.
Sono in Messico. Piante tropicali. È primavera: i cactus sono in fiore, Piccole torri spinose verdi, sormontate da ciuffi folli di fragranti petali gialli. Anelli e corone di spinosità esplodono come fuochi artificiali rossi e bianchi. Shadrach e Katya vagano come sonnambuli tra frutti irti di pungiglioni, tra le pitahaya. Il ritmo è frenetico, ma loro non sono minimamente affannati. Spesso si fermano a fare l’amore. Lui potrebbe ballare tutta la notte. Passando i Pirenei, incontrano Pancho Sanchez, tozzo e sporco, che offre loro un vino verdognolo versato da una bota di pelle, e ridacchia quando se lo versano addosso. Pancho lecca via il vino dai seni di Katya. Lei gli dà una spinta, con allegria, e lui si piroetta fino in Andorra. Lo seguono. In loro onore il popolo adorante fa coniare delle monete commemorative di grande valore. — Credevo che la morte fosse una cosa più seria — dice Shadrach.
— Lo è.
Morti, possono andare dappertutto, e così fanno. Ma il viaggio è vuoto, e il cibo al banchetto è un cotone fatto d’aria, meno dolce dello zucchero filato. Shadrach chiede più sostanza, e un servitore gli porta delle pietre. È tornato nero, e nero è anche Gengis Mao, seduto su un trono di giada luccicante dieci metri più in alto. Ficifolia è nero, Buckmaster, Avogadro, Nikki Crowfoot; Mangu è il più nero di tutti; ma il nero delle loro pelli non è il nero della razza nera, non è il nero africano, è un nero nero, nero ebano, il colore di uno sgabuzzino oscuro, il colore dell’aria che separa i mondi. Nero come il pozzo. Hanno l’aspetto di esseri venuti da un’altra galassia. Shadrach va verso di loro, batte le mani contro le loro, i gomiti si sfiorano. Parlano negro-mongolo tra loro, ridono e cantano, si agitano e si muovono. Ficifolia è alla chitarra, Buckmaster al trigono, Avogadro al banjo; Shadrach suona i bonghi, Katya il tamburello.
Liberati del corpo
Esci dalle ossa.
È così… facile morire…