I corpi si stringono, il rame afferra l’ebano, celebrano l’antico rito, Shadrach si sorprende dell’intensità delle sue stesse passioni. Non è sicuro se l’energia gli viene da Nikki, grazie a un misterioso trasferimento telepatico, o da qualche inattesa riserva dentro di lui, ma è pieno di gratitudine qualunque sia la fonte, e cavalca quest’energia verso una piacevole conclusione. Subito dopo scivola con facilità in un sonno profondo, risvegliandosi soltanto quando un suono melodioso ma ineludibile segnala l’avvicinarsi dello scadere delle loro tre ore. Si ritrova comodamente appoggiato con la testa tra i seni di Nikki. Lei è sveglia e lo è evidentemente stata per un po’ di tempo, ma il suo sorriso è beato e non c’è dubbio che l’avrebbe volentieri cullato a quel modo per tutta la notte: un’idea attraente. La notte, in ogni caso, si è quasi conclusa. Si concedono qualche veloce coccola, si alzano, si lavano, si vestono, escono dalla stanza con le mani che si toccano leggere nella fredda oscurità appena sfiorata dalla luna. Come bambini che non vogliono lasciare il campo-giochi, scivolano alla deriva verso un padiglione di gioco d’azzardo, un’enoteca, una sala da ballo, tutti e tre popolati dal rumore di uomini e donne dall’aria decadente, intenti a divertirsi; ma Shadrach e Nikki non sostano più di qualche minuto in ciascuno dei posti, scivolando via nello stesso modo casuale con cui sono entrati, e finalmente si confessano a vicenda di averne avuto abbastanza per una notte. Alla stazione sotterranea, dunque. L’alba sarà qui tra breve. Dal soffitto sopra la banchina di attesa pende un enorme globo verde luminoso, un teleschermo pubblico che trasmette un programma notturno di notizie, e Shadrach vi rivolge uno sguardo distratto: la faccia di Mangu gli restituisce lo sguardo, sincera e onesta e deplorevolmente giovanile. Mangu sta facendo un discorso, a quanto pare. Gradualmente, data la stanchezza, Shadrach si rende conto che si tratta del solito discorso sull’Antidoto di Roncevic, il discorso che Gengis Mao fa tradizionalmente ogni cinque o sei mesi e che ora, si direbbe, è stato delegato all’erede designato. «…Importantissimi passi avanti nella ricerca di laboratorio…» sta dicendo Mangu. «…progressi incoraggianti… fondamentali trasformazioni qualitative della tecnica di produzione… gli sforzi incessanti del Comitato Rivoluzionario Permanente… la guida perseverante e diligente del nostro beneamato Presidente Gengis Mao… non ci possono più essere dubbi… distribuzione su vasta scala del farmaco in tutto il mondo… liberarci del flagello della decomposizione organica… le riserve aumentano giorno dopo giorno… si avvicina il momento in cui… un’umanità sana, felice…».
Qualche metro più in là, vicino al binario, un uomo rubicondo, gli occhi spalancati, dice con un sussurro ben udibile alla donna che lo accompagna, in tono severo: — Ma certo. Tra meno di novanta o cent’anni.
— Taci, Béla! — esclama la sua compagna, un tono genuinamente allarmato nella voce.
— Ma è la verità. Mente quando dice che le riserve aumentano giorno per giorno. Ho visto le cifre. Ti dico, ho visto delle cifre
Mordecai trova interessante tutto questo. L’uomo rubicondo è Béla Horthy, un fisico ungherese dal carattere cupo ma facilmente mutevole, creatore della grande centrale di fusione di Bàyan Hongor, che fornisce energia a quasi tutta l’Asia nordorientale. È anche ministro della Tecnologia del Comitato Rivoluzionario Permanente, e fa un effetto un po’ strano sentire un leader governativo di tale importanza pronunciare in pubblico simili parole sovversive. Certo, questa è Karakorum e Horthy, che in questo momento appare sfocato e come informe, è chiaramente alla deriva sull’onda di un potente allucinogeno, eppure, eppure…