Shadrach si avvicina all’interfaccia, con indosso soltanto i calzoni e ancora piuttosto scosso: mai prima d’ora, fin da quando gli sono stati impiantati i rilevatori, i segnali da Gengis Mao avevano avuto un simile impatto su di lui. — Shadrach Mordecai, per servire il Khan — dice, e aspetta, e niente succede per quasi un minuto. Il dottor Mordecai ripete la parola d’ordine, con più concitazione. La porta rimane chiusa. — Forza! — sbotta lui. — Il Khan potrebbe essere prossimo alla morte e devo raggiungerlo immediatamente, macchina idiota! — Delle luci lampeggiano, dei rilevatori rilevano, ma nient’altro succede. Shadrach capisce che il sistema di interfaccia dev’essere passato alla modalità d’emergenza, che significa che il flusso del personale avanti e indietro per le camere interne è controllato con cura ancora maggiore del normale. Questo rafforza l’ipotesi di un tentativo d’assassinio. Shadrach urla, gesticola, batte i pugni contro l’interfaccia, arriva a mostrarle un volto irato; ma il sistema di sicurezza è molto chiaramente interessato ad altre questioni, e non vuole lasciarlo entrare. Quando la porta si decide finalmente ad aprirsi sono passati quattro o cinque minuti, giudica Shadrach. I dati provenienti da Gengis Mao restano stabili, se non altro; i segnali vitali del Khan indicano che è ancora sconvolto e sovreccitato, ma che si sta lentamente riprendendo dal suo momento di allarme.
Shadrach, ormai furioso, è trattenuto ancora per circa un minuto nella camera d’attesa interna; alla fine questa cede, e lui procede rapido attraverso il Vettore di Sorveglianza Uno, che è deserto, fino alla camera da letto di Gengis Mao. Qui il rilevatore secondario della porta non lo frena per più del solito microsecondo, e lui irrompe per trovare Gengis Mao vivo e ben sveglio, seduto sul letto, circondato da cinque o sei servitori e da una decina o più di membri del Comitato: tutti in preda a un’attività frenetica ed eccitata che è assolutamente controindicata in questa fase del decorso postoperatorio del Presidente. Mordecai vede il generale Gonchigdorge, il vicepresidente Ionigylakis, il capo della Sicurezza Avogadro, perfino Béla Horthy, afflitto da postumi vistosi dopo la sua notte di eccessi a Karakorum. E a ogni istante arriva gente nuova. Shadrach è sgomento. Riesce a percepire la voce di Gengis Mao, chiara ma debole, attraverso il brusìo generale, ma c’è un tale affollamento attorno al letto che Mordecai non riesce a raggiungere il fianco del Khan.
— Terribile, terribile — dice Ionigylakis, scuotendo la testa da una parte all’altra come un orso ferito.
Shadrach si rivolge a lui. — Cosa sta succedendo?
— Mangu — risponde Ionigylakis. — Assassinato!
— Cosa? E come?
— Fuori dalla finestra. Giù dal balcone. — Il grosso greco mima con pesantezza l’azione con grandi gesti del braccio: la finestra aperta, i tendaggi mossi dalla brezza, la curva del corpo che esegue la sua rapidissima discesa di settantacinque piani, l’agghiacciante e improvvisa fine del tuffo aggraziato, l’impatto mostruoso al livello della piazza, il piccolo movimento finale di rimbalzo del corpo devastato.
Shadrach rabbrividisce. — Quando è successo?
— Dieci, quindici minuti fa. Horthy stava arrivando alla torre in quel momento. Ha visto tutto.
— Chi ha avvertito il Khan? Horthy?
Ionigylakis scrolla le spalle. — Come faccio a saperlo?
— Avrebbero dovuto aspettare. Lo shock di una notizia del genere…
— Quando l’ho saputo io, ero al mio posto nel Vettore di Comitato Uno e le luci si sono messe a lampeggiare in modalità d’emergenza. Poi ho visto gente che correva da tutte le parti, una cosa folle. Poi tutti sono accorsi qui dentro.
— Che è ancora più folle — dice Shadrach, freddo. — Fare tutto questo rumore, sconvolgere il sistema nervoso del Khan, riempire la stanza di batteri potenzialmente pericolosi… a nessuno è rimasto un po’ di senno? Gli stiamo mettendo a repentaglio la vita, con questo caos. Mi aiuti a far sgombrare la stanza.
— Ma è stato il Khan a convocare queste persone!
— Questo non ha importanza. Non ha bisogno di tutti. Il responsabile per la sua salute sono io, e voglio che tutti spariscano di qui tranne… mmm… Avogadro e Gonchigdorge, e magari Eyuboglu.
— Ma…
— Non c’è nessun ma. Tutti gli altri farebbero meglio a tornarsene al Vettore di Comitato Uno, pronti a occuparsi di guai ulteriori se guai ulteriori ci saranno. E se questo fosse l’inizio di un’agitazione rivoluzionaria mondiale? Chi affronterà la crisi se siete tutti qui dentro? Via. Via. Voglio che la stanza si sgombri. Faccia uscire tutti, per favore. È un ordine.
Ionigylakis ha ancora un’espressione dubbiosa, ma dopo un momento di esitazione annuisce e inizia a spingere la gente verso la porta con entusiasmo, intimando loro di andarsene, mentre Shadrach, richiamando l’attenzione del capo della Sicurezza, gli dice di disporre i suoi uomini nell’anticamera a impedire nuove visite.