— Benissimo. Sono pronte le equivalenze di diciassette tratti cinesici ormai. Abbiamo fatto più progressi nelle ultime tre settimane che nei tre mesi precedenti.
— Bene. Voglio vedere quel vostro automa pronto presto. Voglio che il tuo progetto sia il primo pronto a partire.
— Hai già parlato con Nikki?
— No — risponde lui. — Non ancora.
— Ho sentito dire che anche Avatar procede bene. Dicono che hanno praticamente finito con la conversione dai parametri di Mangu ai… a quelli del nuovo donatore. Sono in anticipo di settimane intere. Mi spaventa, Shadrach.
— Non dovrebbe spaventarti.
— Non riesco a non pensare a… e se… se davvero…
— Non lo faranno — dice lui. — Non succederà. Sono troppo prezioso per Gengis Mao, gli servo così.
— "La ridondanza è la nostra via maestra per la sopravvivenza”, non dimenticartelo. Quanti altri dottori credi che abbia, in attesa? Completi di impianto telemetrico e tutto il resto?
— Nessuno.
— Come fai a esserne sicuro?
— Buckmaster lo saprebbe, se fosse stata costruita una serie di impianti sostitutiva. Non ha mai sentito parlare di una cosa del genere.
— Buckmaster è morto, Shadrach.
Shadrach lascia perdere quel punto. — Io so che non ci sono dei sostituti di Shadrach Mordecai che aspettano da qualche parte, pronti a subentrarmi quando toglierò il disturbo. Mi rendo conto ora di quanto Gengis Mao dipenda da me, da me esclusivamente, da me, insostituibile. E ho il sospetto che sarò molto meno ridondante nel futuro prossimo, molto più indispensabile. Avatar non mi preoccupa, Katya.
— Spero che tu sappia quel che stai facendo.
— Lo spero anch’io — dice lui. Fa un gesto verso l’uscita del salone, proprio al di sotto dell’immenso ritratto con gli occhi vacui del misero, sciocco Mangu. — Andiamo di sopra — suggerisce Shadrach, e Katya sorride e annuisce.
Ora è il mattino dell’operazione. Gengis Mao è sdraiato prono sul tavolo operatorio, sveglio, pienamente cosciente, e volge la testa di tanto in tanto per fissare con uno sguardo amaro i dottori che gli si affollano intorno: Shadrach, Warhaftig, e il consulente neurologico di Warhaftig, un israeliano di nome Malin. Lo sguardo del Khan non lascia spazio a equivoci: ha paura. Cerca di coprire la paura con la consueta baldanza, ma non ci riesce. Tra dieci minuti, i laser chirurgici gli trapaneranno il cranio, e la prospettiva non lo affascina. Se non fosse per le emicranie, i cui effetti sono visibili in questo momento sotto la forma di imperiali smorfie di dolore, non succederebbe niente di tutto questo.
La testa del Presidente è stata rasata. Senza la folta criniera nera sembra stranamente molto più giovane, più forte: quel cranio solido che spunta nudo parla dell’immenso vigore dell’uomo, dell’intensità delle forze che lo animano. La muscolatura del cuoio capelluto è potente e vistosa, colli e valli profilati in rilievo netto, un paesaggio accidentato di cordoni e corrugamenti nutriti e sviluppati attraverso quasi novant’anni di un feroce discutere, pensare, mordere, masticare. Gli angoli d’entrata per i chirurghi sono stati segnati sulla pelle con l’inchiostro luminoso.
Warhaftig è pronto a fare la prima incisione. La strategia dell’operazione si è evoluta nel corso di tre giorni di riunioni. Non si avvicineranno ai centri cerebrali. Il cranio verrà aperto in alto lungo la curva occipitale, e il congegno di drenaggio verrà inserito nel tronco dell’encefalo, dove c’è il ponte, subito al di sotto del quarto ventricolo in prossimità del midollo allungato. Questa, hanno concordato tutti, è la posizione ottimale per la valvola, e non sarà per caso che i laser staranno alla larga dalla sede della ragione: anche se qualunque scivolone di un chirurgo potrebbe danneggiare il midollo, che controlla le funzioni vasomotorie e cardiache e altre risposte autonome vitali. Ma Warhaftig non è tipo da fare scivoloni.
Il chirurgo lancia un’occhiata a Shadrach. — Tutto bene?
— Perfetto. Parta pure, quando è pronto.
Warhaftig tocca con dolcezza il collo di Gengis Mao. Il Khan non reagisce, né suscita una risposta in lui un forte pizzicotto alla base del cranio. È sotto anestesia locale, indotta come di norma attraverso sonopuntura.
— Adesso — dice Warhaftig. — Cominciamo.
Fa il taglio iniziale.