Читаем Shadrach nella fornace полностью

— Vorrei che mi trovassi Buckmaster. C’è un dispositivo speciale di cui avrò bisogno, e lui è la persona adatta per costruirlo. Poi vorrei che tu mi aiutassi a preparare i circuiti telemetrici che mi serviranno per farlo funzionare.

— Buckmaster? Perché proprio Buckmaster? Qui è pieno di gente bravissima, esperti di microingegneria che fanno parte del personale.

— Per questo lavoro voglio Buckmaster. È il migliore nel suo campo, e coincidenza vuole che sia anche quello che ha costruito il mio sistema di impianti. Spetta a lui costruire qualunque aggiunta a quel sistema. — Lo sguardo di Shadrach non suggerisce intenzioni di compromesso. — Mi troverai Buckmaster?

Ficifolia, dopo qualche istante, sbatte gli occhi e annuisce deciso. — Ti porterò da lui — dice. — Quando vuoi che andiamo?

— Ora.

— Proprio ora? Proprio in questo minuto, letterale?

— Ora — dice Shadrach. — È molto lontano?

— No, non molto.

— Dov’è?

— A Karakorum — risponde Ficifolia. — Lo abbiamo nascosto tra i transtemporalisti.

2 gennaio 2009

Ho insistito, e mi hanno lasciato provare l’esperienza del transtemporalismo. Parlavano tutti molto di rischi, di effetti collaterali, delle mie responsabilità di fronte al bene comune. Mi sono imposto. Non mi capita spesso di dover insistere. Succede raramente che io possa parlare di quel che mi lasciano fare. Ma questa è stata una lotta. Che naturalmente ho vinto, ma ce n’è voluta. Sono andato a Karakorum di notte, sotto una neve leggera. La tenda era stata sgombrata. C’erano guardie in postazione. Teixeira mi aveva fatto già una visita di controllo completa. Per via delle droghe che usano. Salute perfetta: posso smaltire senza problemi le pozioni più potenti. Nella tenda, dunque. Posto buio, fetore. Mi ricordo quell’odore dalla mia infanzia: feci di vacca che bruciano, pelli di capra che nessuno ha conciato. Si fa avanti un piccolo lama dalla schiena china. Tutt’altro che impressionato dalla mia presenza, nessuna traccia di soggezione; perché provare soggezione per Gengis Mao, d’altronde, quando puoi mandare giù un sorso di droga e andare a trovare Cesare, il Budda, Gengis Khan? Il lama mescola le sue sostanze, le prepara per me. Olii, polveri. Mi porge la tazza, e io bevo. Dolce, gommoso, non è un gusto piacevole. Mi prende la mano, mi sussurra delle cose, e io mi sento girare la testa, la tenda diventa una nuvola e se ne va. Mi ritrovo in un’altra tenda, ampia e bassa, bandiere bianche e addobbi di broccato, ed eccolo lì davanti a me, il corpo tozzo, basso, un uomo di mezl’età o appena oltre, lunghi baffi scuri, occhi piccoli, bocca forte, puzza di sudore come se non facesse il bagno da anni: e per la prima volta in vita mia provo l’impulso di gettarmi in ginocchio di fronte a un altro essere umano, perché questo è sicuramente Temucin, questo è il Gran Khan, è lui, il fondatore, il conquistatore. Non mi inginocchio, se non dentro di me. Dentro di me cado ai suoi piedi. Gli offro la mano. Chino la testa.

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