— Ma potresti procurarmi quella roba. Probabilmente ti porti dietro un centinaio di fiale, nel tuo borsello nero. Cazzo, amico, sei il medico personale di Gengis Mao! Puoi fare
— Non funzionerebbe, Jim.
— Hai paura ad aiutarmi.
— Farei anche bene, dopo quel che mi hai appena detto. Ti hanno fatto saltare per utilizzo illegale dell’Antidoto, mi dici, e poi mi vieni a chiedere di fare la stessa cosa.
— È diverso. Tu sei il medico di…
— Lo stesso. Non serve a niente darti l’Antidoto, per i motivi che ti ho appena spiegato. Ma anche se servisse, non potrei procurartene. Mi beccherebbero sicuramente.
— Non vuoi rischiare il culo. Neanche per un vecchio amico.
— No, non voglio. E non voglio neanche che mi si faccia sentire in colpa perché mi rifiuto di fare una cosa priva di senso. — Non c’è traccia di dolcezza nella voce di Shadrach. — L’Antidoto è inutile per te a questo punto. Assolutamente, completamente inutile. Fattelo entrare in testa una volta per tutte.
— Non saresti neanche disposto a provarne un po’ su di me? Come esperimento?
— È inutile. Inutile.
Dopo una lunga pausa, Ehrenreich dice: — Sai cosa mi piacerebbe, vecchio? Che tu ti trovassi nei casini seri un giorno, che ti trovassi sull’orlo del precipizio, aggrappato con le unghie. E arriva un tuo vecchio amico, e tu gli gridi: “Salvami, salvami, i bastardi mi stanno facendo fuori!”. E lui ti cammina sulla mano e prosegue oltre. Questo mi piacerebbe che succedesse. Così capiresti come ci si sente. Questo mi piacerebbe.
Shadrach alza le spalle. Non riesce a provare ira contro un uomo che sta morendo. Ed evita di parlargli dei
— Non vuoi neanche provarci.
— Non c’è niente che possa fare. Ci credi o no?
— Ero sicuro che tu fossi la persona giusta. Se c’era qualcuno, eri tu. Non ti ricordavi neanche di me. Non vuoi alzare un dito.
Shadrach dice: — Hai mai fatto della carpenteria, Jim?
— Vuoi dire nei templi? Non mi è mai interessata.
— Potrebbe aiutarti. Non risolverà il tuo problema, ma potrebbe renderti più facile viverci insieme. La carpenteria ti mostra un’armonia che non arrivi necessariamente a vedere da solo. Ti aiuta a distinguere quel che è veramente concreto e importante da quel che non conta molto.
— Praticamente sei un fanatico di carpenteria?
— Ci vado ogni tanto. Quando le cose si fanno troppo difficili. Ci sono delle cappelle giù verso il Fisherman’s Wharf. Io ci andrei volentieri, in questo momento. Perché non mi accompagni? Ti farà bene.
— C’è un bar sulla Washington, all’altezza della Stockton, dove vado spesso. Perché non andiamo lì invece? Perché non mi offri qualcosa da bere con la tua carta del CRP? Mi farebbe ancora più bene.
— Prima il bar, poi la cappella?
— Vedremo — dice Ehrenreich.
Il bar è buio, ammuffito, un posto dall’aria trascurata. Il barista è un automatico: la carta nella fessura, il pollice sulla piastrina di identificazione, i tasti per scegliere da bere. Prendono dei martini. La truculenza di Ehrenreich svanisce dopo il secondo bicchiere; diventa sempre più cupo e piagnucoloso, ma pare meno amareggiato. — Mi spiace per quello che ho detto prima, tipo — mormora.
— Lascia perdere.
— Pensavo davvero che tu fossi la persona giusta.
— Vorrei esserlo.
— Non ti auguro nessun casino.
— Ne ho già di casini — dice Shadrach. — Sono aggrappato con le unghie. — Ride. La macchina serve altri due bicchieri di cocktail. Shadrach alza il suo. — Lasciamo stare. Cin cin, vecchio.
— Cin cin, tipo.
— Dopo questo andiamo alla cappella, okay?
Ehrenreich scuote la testa. — Io no. Non fa per me, capisci? Non adesso. Non proprio in questo momento. Vacci senza di me. Non insistere, vacci da solo e basta.
— Va bene — dice Shadrach.
Finisce il cocktail, sfiora il braccio di Ehrenreich per dargli l’addio — l’uomo ha gli occhi vitrei, è assente — e trova un taxi che lo porti al Wharf. Ma la cappella non riesce a calmare Shadrach oggi. Le dita gli tremano, gli occhi non vanno a fuoco, non riesce a entrare nello stato meditativo. Dopo mezz’ora se ne va. Vede una macchina piena di Citpol in un parcheggio all’altro angolo dell’isolato. Lo stanno ancora sorvegliando. Nell’auto c’è anche un uomo in borghese, con la barba. Ehrenreich? Possibile? A questa distanza non riesce a distinguere le facce, ma le spalle pesanti sembrano proprio quelle, i capelli radi sono familiari. Shadrach aggrotta le sopracciglia. Chiama un taxi, torna all’hotel, fa i bagagli, si dirige all’aeroporto. Tre ore dopo, è in volo per Pechino.
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