Poi, nelle barriere si apre una breccia. Shadrach distoglie gli occhi per un momento dalla processione dei dannati per ispezionare la vetrina di un negozio di curiosità; mentre osserva le grottesche incisioni in legno, i tamburi di pelle di zebra, i portacenere ricavati da zampe d’elefante, le lance e gli scudi masai, ogni sorta di artefatti indigeni prodotti in serie per turisti che non vengono più, qualcuno gli colpisce bruscamente il gomito. Fa un volteggio, istantaneamente in guardia. L’unica persona vicino a lui è un ometto appassito, terreo, coperto di stracci, i capelli bianchi, tutto ossa; si muove avanti e indietro davanti a Shadrach in un semicerchio erratico, facendo degli strani versi secchi nella profondità della gola.
Un caso terminale. Coperto di pustole attorno agli occhi spenti, ha la pancia gonfia. La malattia smangia lentamente il tessuto epiteliale, ulcerando indiscriminatamente tutta la carne che incontra; i fortunati sono quelli i cui organi si perforano rapidamente, ma pochi hanno questa fortuna. Sono passati diciotto anni da quando la Guerra Virale scatenò contro l’umanità la decomposizione organica; Shadrach ha letto che molti di coloro che vennero infettati quando tutto cominciò stanno ancora aspettando che arrivi la fine. L’uomo davanti a Shadrach ha l’aspetto di uno di quei casi quasi ventennali, ma non gli può mancare più molto. Tutti i meccanismi interni devono essere avvizziti e corrosi; non dev’essere altro che un ammasso di buchi tenuti insieme da sottili filamenti di tessuto vivente, e la prossima erosione, dovunque si verifichi, sarà certamente fatale.
Pare cercare l’attenzione di Shadrach, ma è incapace di fermarsi nel posto giusto. Come un robot dalle giunture arrugginite, continua a muoversi a scatti, si agita davanti a Shadrach con movimenti rapidi e convulsi, fermandosi, facendo cigolare i meccanismi dentro di sé, girando su se stesso e facendo sventolare le braccia senza controllo, allontanandosi e ritornando per un nuovo tentativo. Alla fine, con un ultimo sforzo disperato, riesce ad aggrapparsi all’avambraccio di Shadrach e trova una stabilità in questo modo, in piedi vicino a lui, appoggiato a lui, dondolandosi lentamente sul posto.
Shadrach non cerca di sfuggirgli. Se per questa creatura ferita non può far altro che fornire un sostegno, farà almeno questo.
Con voce terribilmente gracchiante, apocalittica, una specie di grido sussurrato, il vecchio gli dice qualcosa che parrebbe essere altamente importante.
— Mi dispiace — mormora Shadrach — non riesco a sentirla.
Il vecchio si fa più vicino ancora, sforzandosi di accostare la faccia a quella di Shadrach, in alto, e ripete le sue parole in tono ancora più concitato.
— Ma io non parlo swahili — dice Shadrach in tono addolorato. — È swahili questo? Non capisco.
Il vecchio cerca una parola, le labbra avvizzite si muovono, la gola pulsa, il volto è teso per la concentrazione. L’uomo emette un odore dolce, secco, l’odore dei gigli appassiti. Una lesione a una guancia pare attraversare completamente la carne, da dentro a fuori; potrebbe probabilmente infilarci la punta della lingua.
— Morto — dice infine il vecchio, in inglese, pronunciando la parola come se fosse un peso mostruoso che lascia cadere ai piedi di Shadrach.
— Morto?
— Morto. Tu… fare… me… morto…
Le parole cadono una dopo l’altra dalla gola devastata senza espressione, senza inflessione, senza un tono particolare.
— Morto! Tu! Fare! Me! Morto! — Poi ancora swahili. Poi dei colpi di tosse, sofferti, catarrosi. E poi lacrime, incredibilmente copiose, che scendono a fiumi rigando le guance polverose. La mano che trattiene l’avambraccio di Shadrach si serra con una forza improvvisa, sfregando osso contro osso e strappando al medico un grido di dolore. Poi la pressione inattesa svanisce: il vecchio se ne sta da parte per un momento, barcollando; gli sfugge un suono aspro, un inconfondibile rumore di morte, e la vita lo abbandona in modo così istantaneo e completo che Shadrach ha una visione semiallucinatoria, un teschio e le ossa dentro agli abiti lacerati dell’uomo. Mentre il corpo sta cadendo, Shadrach lo prende e lo poggia dolcemente al suolo. Non pesa più di quaranta chili, si direbbe.
E ora? Deve avvertire le autorità? Quali autorità? Shadrach si guarda attorno in cerca di un Citpol, ma la strada, affollata fino a due minuti prima, è misteriosamente vuota. Shadrach si sente responsabile del corpo. Non può semplicemente abbandonarlo lì dov’è crollato. Entra nel negozio di curiosità in cerca di un telefono.