— Americano? Ah! New York? Los Angeles? Una volta avevamo tanti americani qui. Prima della grande morte, no? Venivano con quell’aereo, era grande, troppo grande, sempre pieno, tutti quegli americani! Venivano per vedere gli animali, sa? Là fuori, fuori dalla città. Con le macchine fotografiche. Ora basta. Molto tempo, niente americani qui. Nessuno qui. — Ride. — Tempi diversi, ora. Brutti, questi tempi. Tranne che per gli animali. Tempi buoni, per gli animali. Vede, lì, di fianco alla strada? Iena. Proprio di fianco alla strada!
Sì, Shadrach la vede: una bestia dall’aspetto goffo, come un piccolo orso particolarmente sgraziato, accucciato sul bordo della strada. Il tassista gli dice che ora ci sono animali selvatici da tutte le parti, struzzi che passeggiano tranquilli per i viali principali di Nairobi, leoni e ghepardi che assalgono i contadini nei sobborghi, gazzelle che si spostano per il
Procedendo verso la città scorge altri animali, due zebre bellissime, dei facoceri, un gruppo di antilopi dal dorso pesante e le zampe affusolate; degli gnu, lo informa il tassista. Shadrach è compiaciuto da questo risorgere della natura, ma il piacere è segnato dalla tristezza: se gli gnu pascolano ai margini delle grandi strade e l’erba cresce nelle vie della città, è perché l’età dell’uomo sta giungendo al termine, e per questo Shadrach non si sente pronto.
A dire il vero, per le strade di Nairobi non cresce molta erba, perlomeno non nel viale grande ed elegante che il taxi percorre per entrare in città. Da tutti gli angoli, cespugli fioriti si producono in eruzioni di bellezza. Dopo Ulan Bator, monocroma, Nairobi è una delizia visiva. Cascate di bougainvillee, rosse e porpora e arancioni, coprono i muri; una pianta grassa rampicante, cosparsa di fiori color lavanda, si stende come un tappeto sui salvagente in mezzo alla via; grossi alberi tentacolari di aloe sono appostati agli angoli delle strade come sentinelle; Shadrach riconosce ibischi e jacaranda, ma la maggior parte dei cespugli e degli alberi che riempiono le strade di queste allegre masse di colore gli sono sconosciuti. L’effetto è gaio e vivace, e sorprendentemente commovente: chi potrebbe sentirsi disperato, si chiede, in un mondo che offre una bellezza tanto intensa? Ma nel momento di gioia trascendente creata dagli splendidi fiori di questa città ben curata, arriva la negazione immediata; perché Shadrach si chiede anche come, lasciati liberi in questo mondo magnifico, ci siamo sforzati di farne un tale sfacelo. Ma nonostante tutto, questa città meravigliosa gli ispira più piacere che malinconia.
Shadrach Mordecai gira per Nairobi baciata dal sole e dai fiori, in un taxi vecchio e lento che lo porta al suo hotel, l’Hilton, un posto cavernoso e cadente dove è probabilmente l’unico ospite. Il personale dell’albergo lo tratta con straordinaria deferenza, come se fosse un principe in visita. E in un certo senso lo è, per questa gente. Sanno che vive nella capitale, e che viaggia con un passaporto del CRP; saranno portati a concludere che siede alla destra di Gengis Mao, che è poi la verità, nonostante Shadrach non faccia in alcun modo parte del governo. Ma perfino quelli che non hanno visto il suo passaporto dimostrano un senso di soggezione nei suoi confronti, qui. Interrompono il lavoro nei corridoi, e si voltano a guardarlo. Si scambiano bisbigli. Gesticolano, indicano. Shadrach è costretto a ricordarsi quel che tende spesso a dimenticare: che è un uomo di grande dignità e presenza, capace e sicuro di sé, dall’aspetto fisico imponente; un uomo che irradia un’aura che spinge gli altri a un atteggiamento deferente. È difficile, per chi lavora nell’ombra di Gengis Mao, ricordarsi di essere una persona a sé stante, non solo, una persona degna di nota, e non semplicemente un’estensione del Presidente. A Nairobi ricomincia a impararlo.