Lasciando premuti i tasti verdi, Shadrach interviene su un gruppo di quelli arancioni. Una ricerca sistematica nel turbine folle di monitor lampeggianti gli rivela, alla fine, un blocco di paesaggio nordamericano all’estremità sinistra: dei passaggi rapidissimi di una città che è sicuramente Los Angeles, e poi New York, e Chicago, Boston, Pittsburgh. Ecco. Sì.
Una mezz’ora di lavoro paziente, intenso, ed ecco che è padrone dei principi del funzionamento del pannello: è un tipo che impara velocemente. Il violetto è l’Africa, il giallo l’Asia, il rosso l’America Latina, e così via. Scopre anche che ci sono certi tasti generali: il rosso dei rossi, per così dire, il blu dei blu; con ciascuno di questi, scelto un continente è possibile cancellare dagli schermi tutti i dati relativi agli altri continenti, e non è più necessario districarsi nella folle sovrabbondanza di informazioni che il Vettore di Sorveglianza Uno nel suo complesso è in grado di fornire. Shadrach impara anche come richiamare le immagini di città specifiche: i tasti di ciascun gruppo cromatico sono disposti in analogia con la posizione geografica reale delle città, e attivando uno schermo che gli si trova di fianco, sulla sinistra, Shadrach può richiedere delle mappe suddivise in griglie che gli mostrano che tasti premere. A questo punto, esamina sistematicamente il Reparto Traumatologia per vedere dove vuole andare.
Le città famose, già. Le antiche capitali del mondo. Roma? Naturalmente. Batte qualche tasto. Appare il Colosseo, poi il Foro, la scalinata di Piazza di Spagna. Sì. E Gerusalemme, sì, basta uno sguardo rapidissimo. Prende in considerazione l’Egitto, e con i tasti richiama le immagini del Cairo, ma lascia perdere quando vede i mendicanti che si affollano alla base della Grande Piramide, gli occhi ormai privi della vista coperti di mosche ronzanti. Ha sentito delle voci sull’Egitto, e pare che siano fondate: la decomposizione organica non lo spaventa, ma non ha antidoti per quel tracoma spaventoso, per la bilharzia endemica, per quell’altro migliaio di piaghe cairote che i monitor gli stanno mostrando. La sua anima di persona che vive per curare gli altri lo porterebbe volentieri in Egitto a imporre le mani su quegli sventurati, a far girare un po’ di medicine, ma questa dovrebbe essere una vacanza: non sta per andare all’estero in quanto medico, è precisamente il contrario, e rifugge da questa sfida. Niente Egitto. Sceglie invece Istanbul, dopo un’occhiata alle moschee che sorgono solide dalle colline; sceglie Londra; passa oltre Filadelfia, la sua città natale, e, con un tremito, fa lo stesso con New York; si decide per San Francisco; e infine Pechino. Il
Dorme da solo quella notte, e per una volta dorme bene, come se la prospettiva di un viaggio attorno al mondo gli avesse calmato, in qualche modo perverso, lo spirito inquieto. Prima dell’alba si sveglia, fa un po’ di ginnastica senza troppo interesse, e tranquillamente prepara i bagagli, portando con sé poche cose. Il volto dello schermo informatico verde gli dice che è
Non perde tempo in addii. Non appena il sole è spuntato all’orizzonte, fa venire un’automobile e si fa portare all’aeroporto.