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Il custode guardò di nuovo Charlie e disse: — L’ha… — s’interruppe e senza finire la domanda andò alla bacheca per vedere a distanza ravvicinata. L’anitra stava ancora lottando per venire fuori, ma più debolmente. Sembrava boccheggiare, in cerca di respiro.

Il custode fece di nuovo — Uhu! — poi, sottovoce, a Charlie: — Signore, come ha fatto… Quella bacheca è sigillata er… ermeticamente. È a tenuta d’aria. Guardi quell’uccello. È sul punto di…

La cosa era già accaduta; l’anitra era stramazzata, morta o svenuta.

Il custode afferrò allora il braccio di Charlie, dicendo con fermezza: — Signore, lei viene con me dal capo. — E con minor fermezza: — Uh… ma come ce l’ha messa quella bestia là dentro? E non tenti di dirmi che non l’ha fatto, signore. Sono passato di qui cinque minuti fa, e lei è l’unica persona che sia stata qui da allora.

Charlie aprì la bocca e la richiuse. Ebbe l’improvvisa visione di sé interrogato al quartier generale del museo e poi alla stazione di polizia. Se la polizia avesse cominciato a far domande sul suo conto, avrebbero scoperto la storia del verme, la sua degenza all’ospedale per… Forse avrebbero fatto venire uno psichiatra, e… Con il coraggio della disperazione, Charlie sorrise. Cercò di farlo apparire un sorriso minaccioso: minaccioso forse non lo era, ma decisamente strano, senz’altro. — Ti piacerebbe, — chiese al custode, — trovarti là dentro? — E con il braccio libero indicò il sarcofago di pietra del re Mene-Ptah, collocato al di là dell’entrata nel corridoio centrale. — Potrei farlo, allo stesso modo in cui ho messo quell’anitra…

Il respiro del custode si era fatto affannoso, i suoi occhi leggermente vitrei. L’uomo lasciò andare il braccio di Charlie e disse:

— Signore, ha veramente…?

— Vuoi che ti faccia vedere come?

— Uh… Uhu! — disse il custode. E scappò.

Charlie si costrinse a mantenere la propria andatura a un passo dignitosamente veloce e prese la direzione opposta, verso l’entrata laterale che dava su Beeker Street.

Nonostante tutto Beeker Street appariva tuttora una strada normalissima; percorsa, sì, dal traffico intenso del mezzogiorno, ma senza elefanti rosa che si arrampicavano sugli alberi, senza niente che non facesse parte della fretta e della confusione di una via cittadina. Proprio questo frastuono — in un qualche modo — ebbe su Charlie un effetto calmante; anche se fu un brutto momento quello in cui, nell’attraversare, all’angolo, sentì un rumore improvviso alle spalle. Si voltò, allarmato, col timore di dover vedere qualche cosa di strano.

Ma era soltanto un camion.

Riuscì a togliersi di mezzo in tempo per evitare di esserne investito.

<p>V</p>

Ora di colazione: Charlie stava decisamente entrando in uno stato di panico. La mano gli tremava tanto che riuscì a malapena a sollevare la tazza del caffè senza schizzarne il contenuto tutto attorno.

Un pensiero orribile si stava facendo strada nella sua mente. Se c’era qualche cosa in lui che non andava, era leale nei confronti di Jane Pemberton far finta di niente e sposarla? È giusto legare una ragazza che si ama a un marito al quale può capitare di andare a prendere una bottiglia di latte nella ghiacciaia e trovare… Dio sa che cosa?

E lui era profondamente, follemente innamorato di Jane.

Se ne stava lì, seduto, davanti a un panino ancora intatto, ora speranzoso, ora disperato, a cercare di trovare un senso alle tre cose che gli erano successe durante la scorsa settimana.

Allucinazione?

Ma anche il custode aveva visto l’anitra!

Che sollievo era stato — gli sembrava adesso — aver potuto dire a se stesso, dopo aver visto il lombrico angelico, che si era trattato di un’allucinazione.

Ma, un momento. Forse…

Non poteva darsi che anche il custode del museo facesse parte insieme all’anitra della stessa allucinazione? Ammesso che lui, Charlie, potesse aver visto un’anitra che non c’era, non poteva aver incluso nella stessa categoria anche un custode di museo che dichiarava di vedere l’anitra? Perché no? Un’anitra e un custode che vede l’anitra: l’associazione dei due poteva essere illusoria tanto quanto l’anitra da sola.

Charlie si sentì così incoraggiato da dare un morso al panino. Ma la scottatura? Di chi era l’allucinazione, quella volta? Oppure, esisteva un tipo di naturale indisposizione fisica capace di provocare un’improvvisa dermatosi, del tutto simile ad una blanda scottatura di sole? Ma se esisteva una cosa del genere, evidentemente il dottor Palmer non ne era a conoscenza.

Ad un tratto Charlie posò gli occhi sull’orologio appeso al muro. Era l’una: per poco il boccone di pane non gli andò di traverso, quando si rese conto di essere in ritardo di oltre mezz’ora e di essere rimasto seduto nel ristorante per quasi un’ora.

Si alzò e ritornò di corsa in ufficio.

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