Poco prima delle cinque fece il giro degli uffici per salutare i colleghi, dato che era quello per lui l’ultimo giorno di lavoro prima delle due settimane di vacanza. I saluti furono naturalmente complicati dagli auguri per il suo imminente matrimonio — che sarebbe avvenuto nella prima delle due settimane di vacanza.
Dovette stringere la mano a tutti, fatta eccezione per la Peste che avrebbe visto con una certa frequenza nei giorni successivi. Dopo l’ufficio, infatti, se ne andò a casa con lei: cenava dai Pemberton, quella sera.
Fu una cena quieta, tranquilla, piacevole, che lasciò in lui la sensazione di star meglio di quanto non si fosse mai sentito dalla scorsa domenica mattina. Qui, nel calmo rifugio di casa Pemberton, le cose assurde che gli erano capitate sembravano così remote e cosi palesemente fantastiche da fargli quasi dubitare che fossero accadute.
Si sentì assolutamente, completamente certo che tutto fosse finito. Le cose accadono a tre per volta, non è vero? Se fosse accaduto qualcos’altro… Ma no.
Non accadde, quella sera.
Sollecita, Jane lo mandò a casa alle nove perché andasse a letto presto. Ma gli diede il bacio della buona notte con tanta tenerezza e, per di più, con tanto calore da farlo camminare per strada con la testa fra nuvole color di rosa.
Poi, d’improvviso — senza motivo, per così dire — Charlie si ricordò che il custode del museo era stato sospeso dal lavoro e stava perdendo tre giorni di paga per via della faccenda dell’anitra nella bacheca. E pensò che, se la faccenda dell’anitra, almeno indirettamente, era colpa sua, era forse il caso di presentarsi — glielo doveva, a quel tizio — ai direttori del museo e spiegar loro che il custode non era imputabile di niente e quindi non doveva essere multato.
Dopotutto era stato lui, Charlie, con ogni probabilità, a far perdere l’uso della ragione al pover’uomo, spaventandolo con la minaccia di ripetere la sua impresa in un sarcofago anziché in una bacheca. E il custode doveva poi aver raccontato una storia tanto incoerente da non essere creduto.
Ma… era stata davvero colpa sua? Glielo doveva proprio…? Ed eccolo di nuovo a sbattere la testa contro il muro dell’impossibilità. A cercare di risolvere l’irresolubile.
Capì, d’un tratto, di essere stato un debole a non rompere il fidanzamento con Jane. Quello che per tre volte era successo nel breve spazio di una settimana sarebbe potuto succedere di nuovo, anche fin troppo facilmente.
Buon Dio! Persino alla cerimonia. Supponiamo che, cercando l’anello, tirasse fuori un…
Meno di un isolato: tale si era rivelata la distanza che separava le nuvole color di rosa della beatitudine dal nero pantano della disperazione.
Stava quasi per ritornare dai Pemberton, a raccontar tutto quella sera stessa. Poi decise di non farlo. Si sarebbe fermato, piuttosto, a casa di Pete Johnson per parlare con lui.
Forse Pete…
Ciò che in realtà sperava era che Pete lo convincesse, a furia di ragionamenti, a desistere dal suo proposito.
VIII
Pete Johnson aveva davanti una caraffa da un gallone, quasi piena di vino. Uno sherry piuttosto generoso; almeno quanto Pete, che già lo aveva assaggiato.
L’amico rifiutò di ascoltare Charlie fino a quando il suo ospite, bevuto un bicchiere, non ne ebbe un altro davanti a sé sul tavolo. Solo allora disse: — Tu hai qualche cosa per la testa. Bene, sputa.
— Stammi a sentire, Pete. Ti ho detto di quella faccenda del lombrico. A dir la verità tu eri praticamente sul posto quando è successo. E sei al corrente di quanto mi è capitato martedì mattina, mentre stavo andando a lavorare. Ma ieri… be’, quello che è successo ieri è più grave, immagino. Perché l’ha visto un altro tizio. Si tratta di un’anitra.
— Un’anitra?
— Un’anitra in una bacheca al… Aspetta, comincio dal principio. — Incominciò e Pete lo stette a sentire.
— Be’, — disse poi pensieroso, — il fatto che il giornale ne parlasse invalida una delle teorie. Per fortuna. Senti, non vedo proprio di che cosa ti vai preoccupando. Per caso, di una mosca non fai un elefante?
Charlie bevve un altro sorso di sherry, accese una sigaretta e disse speranzoso: — Come?
— Be’, sono successe tre cose, pazzesche. Ma se tu, di queste tre, ne prendi una qualsiasi, da sola, l’elefante si ridurrà a un moscerino, non ti pare? Ognuna di esse può essere spiegata. È a startene lì seduto, insistendo nel volere una spiegazione generale valida per tutte e tre, che rimani impantanato. Come fai a sapere che esiste una qualche connessione fra loro? Considerale separatamente…
— Considerale tu, — suggerì Charlie, — se credi di poter riuscire a spiegarle con tanta facilità.