L’infermiera lo stava guardando in modo strano. Disse: — Ecco, lei… Mi scusi, signor Wills, ma ad un’infermiera non è permesso discutere la diagnosi con un paziente. Lei però non ha niente di cui preoccuparsi; ha sentito che il dottor Palmer ha detto che può andarsene a casa nel pomeriggio o stasera.
— Sciocchezze, — disse Charlie. — Senta, che ore sono? O alle infermiere non è permesso dirlo?
— Sono le dieci e mezzo.
— Perdinci, sono qui da circa due ore — Fece i conti a ritroso, ricordandosi in quel momento di aver oltrepassato un orologio che segnava le otto e ventiquattro proprio mentre girava l’angolo prima dell’ultimo isolato. E se era di nuovo cosciente da cinque minuti, allora era rimasto svenuto per ben due ore.
— Desidera nient’altro, signore?
Charlie scosse lentamente la testa. Ma poi, desiderando che lei se ne andasse per poter dare una occhiata di nascosto alla cartella clinica, disse: — Be’, sì. Potrei avere un bicchiere di spremuta d’arancia?
Non appena lei fu uscita, si tirò su a sedere sui letto. Senti un po’ di male nel farlo: la sua pelle — scoprì — era piuttosto tenera al tatto. Si guardò le braccia, facendosi su le maniche del camicione che gli avevano infilato. La pelle era rosea: proprio quella sfumatura di rosa che sta a indicare il primo grado di una scottatura di sole.
Guardò dentro al camicione, poi si esaminò le gambe. — Che diavolo… — disse. La scottatura — se di scottatura si trattava — era uniforme su tutto il corpo.
Il che non aveva senso: ultimamente non era mai rimasto al sole il tempo sufficiente per scottarsi; e poi, non era stato affatto al sole senza vestiti. E… sì, la scottatura si estendeva persino alla zona che sarebbe stata coperta dal costume se lui fosse andato a nuotare.
Ma forse la cartella clinica avrebbe dato una spiegazione. Arrivò ai piedi del letto e staccò dal gancio la tavoletta con la cartella clinica.
Secondo il verbale il paziente è svenuto improvvisamente per strada, senza cause apparenti. All’ammissione: polso 135, respirazione affannosa, temperatura 40°. Ritorno allo stato normale nella prima ora di ricovero. I sintomi sembrano essere molto simili a quelli del collasso per calore, ma…
Seguivano alcuni commenti esplicativi di tono strettamente tecnico. Charlie non li capì; in qualche modo aveva la sensazione che neanche il dottor Palmer li capisse: avevano tutta l’aria di fumo negli occhi. Al ticchettio di tacchi fuori nel corridoio, rimise in fretta la cartella al suo posto e si cacciò sotto le coperte. Cosa sorprendente, bussarono alla porta. Di solito le infermiere non bussano, vero?
— Avanti, — disse.
Era Jane. Più bella che mai, i grandi occhi castani ancora più grandi per lo spavento.
— Caro! Sono venuta subito dopo che la Peste mi ha telefonato a casa e me lo ha detto. Ma è stata terribilmente vaga. Che cosa ti è successo?
Era ormai arrivata a tiro e Charlie l’abbracciò: in quel momento non gli importava proprio un accidente di che cosa gli era successo. Ma cercò di dare una spiegazione. Soprattutto a se stesso.
IV
La gente cerca sempre di dare una spiegazione.
Metti a confronto un uomo — o una donna — con qualcosa che non capisce e quello — o quella — si sentirà infelice finché non l’avrà classificata. Luci nel cielo: uno scienziato gli — o le — dice che si tratta dell’aurora boreale, o dell’aurora astrale; l’uomo — o la donna — riuscirà, allora, ad accettare le luci e a dimenticarsene.
Un qualche cosa fa cadere i quadri dalle pareti di una stanza disabitata e scaraventa una sedia giù dalle scale. Costernazione; fino a quando alla cosa non viene dato un nome. È soltanto un
Dalle un nome e dimenticatene. Qualsiasi cosa con un nome può essere assimilata.
Senza un nome è… be’, è impensabile. Priva del nome una qualsiasi cosa ed avrai l’orrore assoluto.
Persino un qualcosa di familiare come la banalissima
Non che la cosa che accadde la volta dopo a Charlie Wills c’entrasse in qualche modo con una ghoul; e nemmeno con un lupo mannaro. Ma penso che, date le circostanze, Charlie avrebbe trovato, in un certo senso, più rassicurante il lupo mannaro dell’anitra. Da un lupo mannaro ci si aspetta un comportamento strano, ma da un’anitra…
Come l’anitra del museo.
Già, non c’è niente di intrinsecamente spaventoso in un’anitra. Niente che ti faccia star sveglio la notte, con il sudore freddo che ti scorre giù sulle spellature di una scottatura di sole. In fin dei conti un’anitra è un essere piacevole, soprattutto se arrostita. Questa qui però non lo era.