La stanza è volutamente claustrofobica, rettangolare e priva di finestre, pareti verdi e sporche e un soffitto basso, opprimente, dal quale pendono faretti a stelo corto fissati alle estremità di giunture metalliche mobili. I faretti sono puntati sulla fronte di Roger Buckmaster, accovacciato su una sedia tozza e scomoda dotata di braccioli di alluminio e schienale alto. Del nastro adesivo tiene degli elettrodi fissati alle tempie e ai polsi di Buckmaster; i cavetti che li collegano svaniscono nei recessi dello schienale. Buckmaster è pallido in maniera innaturale, suda, il volto terreo; gli occhi sono vitrei; le labbra prive di vita. È chiaro che Avogadro lo ha lavorato per un po’ di tempo.
Avogadro, in piedi di fianco a Buckmaster quando Shadrach arriva, non ha un aspetto molto migliore: accigliato, preoccupato, sfatto. — È un manicomio — farfuglia. — Cinquanta arresti nei primi sessanta minuti. Tutte le celle di interrogatorio sono piene, e continuano ad arrivarne. Pazzi, mendicanti, ladri, tutta la popolazione dei bassifondi di Ulan Bator. Più gli estremisti, naturalmente. Sto andando di cella in cella. E per che cosa? Per che cosa? — Una risata triste. — Ci sarà carne in abbondanza per i vivai di organi, prima che questa storia si sia conclusa. — Lento, muovendo la pesante corporatura come se una gravità doppia del normale la schiacciasse a terra, si volge verso l’uomo seduto sulla sedia. — Allora, Buckmaster? C’è qualcuno che è venuto a trovarla. Lo riconosce?
Buckmaster tiene gli occhi puntati sul pavimento. — Sa benissimo che lo riconosco.
— Mi dica come si chiama.
— Mi lasci in pace.
— Mi dica come si chiama — insiste Avogadro con una intonazione stanca ma carica di minaccia.
— Mordecai. Il dannato Shadrach Mordecai. Dottore.
— Grazie, Buckmaster. Ora mi dica dove aveva visto il dottor Mordecai l’ultima volta.
— La notte scorsa — dice Buckmaster, la voce ormai un suono debole, sempre più debole, appena percettibile.
— Più forte, per favore.
— La notte scorsa.
— Dove?
— Sa benissimo dove, Avogadro!
— Voglio che me lo dica lei.
— L’ho già fatto.
— Di nuovo. Davanti al dottor Mordecai. Sentiamo.
— Perché non mi sventrate direttamente e la facciamo finita?
— Si sta rendendo le cose difficili da solo, Buckmaster. Le sta rendendo difficili anche per me.
— Mi sta spezzando il cuore.
— Non è una scelta che ho fatto io, tutto questo — dice Avogadro.
Sollevando il capo, Buckmaster riesce a prodursi in uno sguardo freddo, furioso, carico d’odio. — È una scelta mia forse? È mia? Oh, conosco il gioco. Mi interrogherete per un po’, mi dichiarerete colpevole di complotto, mi condannerete a morte, e io me ne andrò al vivaio di organi, giusto? Giusto? E aspetterò lì, un cadavere che non è morto, in modo che quando Gengis Mao avrà bisogno di un polmone, un rene, un cuore, qualcuno potrà venire a prendere il mio, giusto? Mentre io me ne sto sdraiato lì, morto, caldo, respirando e vegetando, parte delle riserve di organi.
— Buckmaster…
Buckmaster ridacchia. — Gengis Mao pensa che le riserve si stanno abbassando, e non può usare gli sventurati là fuori, con i loro organi marci, così ricorre a noi, manda ai vivai qualche decina di persone scelte tra noi, giusto? La sua stessa gente. Benissimo, portatemi via. Fatemi diventare cibo per cannibali! Ma piantiamo lì questa farsa, va bene? La smetta di farmi domande idiote.
Avogadro sospira. — Riprendiamo da dov’eravamo rimasti. Lei ha incontrato il dottor Mordecai a…
— A Timbuctù.
Avogadro solleva la mano sinistra. Un sottoposto, seduto a un tavolo all’altro estremo della stanza, interviene sul pannello di comando che ha davanti a sé; Buckmaster fa uno scatto e si contorce, il lato sinistro della faccia si contrae in un breve spasmo repellente.
— L’ha incontrato dóve?
— A Piccadilly Circus.
Di nuovo la mano sinistra, più in alto. Di nuovo il tocco sui comandi; di nuovo lo spasmo sul volto dell’uomo, molto peggiore questa volta. Shadrach Mordecai sposta il peso del corpo da un piede all’altro, a disagio. A voce bassa dice: — Forse non è necessario che…
— È necessario, sì — gli dice Avogadro. — Dobbiamo rispettare la forma. — A Buckmaster dice: — Sono pronto ad andare avanti così tutto il giorno. Mi annoia, ma è il mio lavoro, e se devo farla soffrire, la farò soffrire; e se lei mi costringe a renderla paralitico per il resto della sua vita, lo farò, perché non ho scelta. Lo capisce?
— Karakorum.
— A Karakorum dove?
— Davanti alla tenda dei transtemporalisti.
— Verso che ora?
— Non lo so. Tardi, ma non era ancora mezzanotte.
— Dottor Mordecai, è corretto questo? Le sue risposte saranno registrate.
— È tutto corretto, fin qui — dice Shadrach.
— Bene. Prosegua, Buckmaster. Mi dica quel che mi ha detto prima. Si è imbattuto nel dottor Mordecai e gli ha detto che cosa?
— Ho detto un ammasso di stupidaggini.
— Che tipo di stupidaggini, Buckmaster?