Dirigendosi verso lo studio, attraversa come al solito il Vettore di Sorveglianza Uno, molto più tranquillo ora di quanto non fosse un quindici-venti minuti prima. Gli alti papaveri se ne sono andati, Gonchigdorge e Horthy e Labile e tutta quella folla, non rimane nessuno tranne tre sottoposti, un Citpol e due aiutanti di Avogadro; fissano seri il mosaico tremolante che fluttua attraverso le centinaia di schermi. Hanno gli occhi spenti. Sovraccarico d’informazione, di questo si tratta. Vedono così tanto che non sanno più quel che stanno vedendo.
Aggirando il Vettore di Comitato Uno, Shadrach, che non ha voglia di irrompere nel mezzo di una riunione di politicanti in quella mattinata tesa, segue la via più lunga per arrivare al proprio studio, passando per lo studio vuoto di Gengis Mao e per la maestosa sala da pranzo del Khan. Come sempre, è rassicurante per lui ritrovarsi circondato dalla familiarità dei suoi talismani, i suoi libri, la sua collezione di strumenti medici. Vaga da una bacheca all’altra, sentendosi già meglio. Prende in mano il suo divaricatore, un sinistro forcipe a gomiti divergenti usato per curiosare nelle ferite aperte. Pensa a Mangu, spiaccicato contro la pavimentazione dello spiazzo; scaccia il pensiero. Esamina la sega a denti sottili che qualche chirurgo del diciottesimo secolo usava per portare a termine operazioni. Pensa a Gengis Mao, livido, gli occhi vitrei, intento a ordinare arresti di massa.
Passa più di un’ora ad aggiornare la scheda medica di Gengis Mao: dettando un rapporto sull’operazione al fegato, aggiunge una postilla relativa al breve episodio di allarme del mattino. Un giorno il dossier su Gengis Mao sarà un classico della medicina, a fianco del Papiro di Smith e della
— Puoi scendere al laboratorio del Talos? — gli chiede. — Mi farebbe piacere mostrarti la nostra ultima simulazione.
— Lo posso immaginare. Hai sentito di Mangu?
— Naturalmente.
— Non sembri troppo preoccupata.
— Che cos’era Mangu? Mangu era un’assenza. Ora l’assenza è assente. La sua morte è stata un evento di portata maggiore di tutta la sua esistenza.
— Dubito che lui vedesse la cosa allo stesso modo.
— Sei così sensibile, Shadrach — dice lei nella voce piatta che, lui lo sa, Katya riserva alle espressioni di sarcasmo. — Vorrei provare anch’io l’amore che provi tu per il genere umano.
— Sarò lì tra un quarto d’ora, Katya.