Shadrach ne ha avuto abbastanza. Si dirige verso l’interfaccia. Non appena l’ha raggiunta, si volta a guardare l’agitazione della stanza, le sagome abbaglianti di colore nei monitor, Gonchigdorge che grida come un bambino, Horthy e Labile che confabulano con concitazione misteriosa, sottolineando la conversazione con un intenso gesticolare italo-magiaro; Ionigylakis incombe su tutti e declama le sue riflessioni confuse con voce tonante; Frank Ficifolia, seduto per terra davanti a un pannello aperto, cerca di inserire una lunga tenaglia sottile in un intrico turbolento di circuiti a bolla. Intanto da qualche parte nelle profondità di questo edificio enorme Avogadro, che non crede ci sia stato un delitto, si prepara a sottoporre a tortura Roger Buckmaster, sospettato di aver commesso quel delitto, nonostante Buckmaster quasi certamente non fosse in grado di uccidere nessuno quella mattina. E nella grande camera del Khan quell’uomo vecchissimo — il suo episodio semifatale di shock praticamente superato, a quanto suggeriscono le pulsazioni e i tremori che ticchettano nel corpo di Mordecai — giace a letto progettando con dedizione placida e dissennata il miglior modo di santificare la memoria del viceré scomparso, e di distruggere i suoi ipotetici assassini. Basta, basta. È più che abbastanza: è troppo. Shadrach richiede all’interfaccia l’autorizzazione all’uscita; la porta si apre con lodevole prontezza, ammettendolo all’anticamera di attesa e poi, rapidamente, al suo appartamento all’estremo opposto.
Che pace qui! Crowfoot è sveglia ed è scesa dall’amaca; ha appena fatto la doccia e si sta asciugando in piedi in mezzo alla stanza, nuda, stupenda; goccioline d’acqua risplendono ancora sulla sua pelle liscia e lucida, i capezzoli sono raggrinziti per l’umidità e turgidi nell’aria fresca. — Sono in ritardo spaventoso per il laboratorio oggi — dice in tono non troppo preoccupato. — Cosa è successo qua in giro?
— Tutto. Mangu è morto, il Khan ha sfiorato un colpo apoplettico quando l’ha saputo, hanno arrestato Buckmaster, è in corso una purga generalizzata di sovversivi. Horthy è…
— Fermati — lo interrompe lei, sbattendo gli occhi. — È morto? Mangu? Com’è successo?
— Volato dalla finestra. L’hanno spinto, o si è buttato.
— Oh. — Lei respira brevemente risucchiando dell’aria. — Oh, Dio. Quando è stato?
— Mezz’ora fa, più o meno.
Nikki appallottola l’asciugamano, lo lancia in un angolo e comincia a percorrere la stanza a passi pesanti, muovendosi come una splendida tigre perplessa. Girandogli attorno, chiede con decisione: — Quale finestra?
— La sua — risponde lui, intontito dal fiume di domande.
— È volato dalla cima dell’edificio? Il corpo dev’essere stato una rovina dopo l’impatto.
— Immagino di sì. Ma cosa…
— Oh, Shadrach! Il mio progetto!
— Che cosa?
— Suona terribilmente inumano, vero? Ma cosa succederà ora al mio progetto? Senza Mangu…
— Oh — dice Shadrach piatto. — Non avevo pensato a questo.
— Mangu doveva…
— Sì. Non dirlo.
— È terribile questa reazione da parte mia.
— Il Progetto era completamente centrato su Mangu in particolare?
— Non necessariamente. Ma… oh, al diavolo il Progetto! — Si accuccia vicino al pavimento, incrociando le braccia sul petto. Trema. — Non capisco. Chi poteva voler uccidere Mangu, in ogni caso? Cosa sta succedendo? Ci sarà una rivoluzione, Shadrach?
— Mangu potrebbe averlo ucciso Mangu — le dice lui. — Nessuno lo sa ancora. Gli uomini di Avogadro non hanno rilevato alcun segno di effrazione nel suo appartamento.
— Però hanno arrestato Buckmaster?
— Per via delle stupidaggini che sputava fuori ieri l’altra notte a Karakorum, immagino. Ma non hanno arrestato Horthy, che si stava comportando in maniera altrettanto sovversiva. Horthy in questo momento si trova al di là di quella porta, nel Settore di Sorveglianza Uno. È stato lui a portare la notizia della morte di Mangu a Gengis Mao. Non l’ha ucciso per un pelo, con lo shock.
Nikki, alzando cupa lo sguardo, dice: — Forse è proprio quello che voleva.
11
Le cose si fanno più calme. I messaggi dall’interno di Gengis Mao indicano che la crisi medica è passata. Il Khan si sta riprendendo, gli affanni del mattino non avranno conseguenze gravi. A mezzogiorno, Mordecai si veste finalmente: vestiti da medico, di un grigio neutro. Si sente stravolto, disorientato; troppo sonno, dopo tutti quei mesi di insonnia: il sonnellino tra le braccia di Nikki e poi la lunga dormita nell’amaca, sia pure interrotta dall’emergenza, e adesso sente la mente annebbiata. Ma arriverà in qualche modo alla fine della giornata senza che la cosa si noti troppo.