«A est, a quattro giorni di viaggio se tutto va bene. È un piccolo villaggio sul fiume Ninor.» Indicò l'Anora che si allontanava verso nord. «Questa è la nostra ultima possibilità di rifornirci d'acqua. Dobbiamo riempire gli otri prima di tentare di attraversare la pianura. Non ci sono altre sorgenti o corsi d'acqua fra qui e Yazuac.»
Eragon sentì montare in sé l'eccitazione della caccia. Tempo qualche giorno, forse anche meno di una settimana,. e avrebbe usato le sue frecce per vendicare la morte di Garrow.
Riempirono gli otri, fecero abbeverare i cavalli, e bevvero anche loro il più possibile. Anche Saphira si dissetò al fiume. Rinvigoriti, puntarono a est per intraprendere la traversata delle pianure. Eragon decise che sarebbe stato il vento a farlo impazzire per primo; era il colpevole di tutto ciò che lo tormentava: le labbra screpolate, la lingua secca, gli occhi lacrimosi. Le raffiche incessanti li seguirono per tutto il giorno, e la sera il vento aumentò invece di placarsi.
In mancanza di un qualunque tipo di riparo, furono costretti ad accamparsi all'aperto. Eragon trovò un cespuglio secco, una pianta bassa e resistente che prosperava in condizioni estreme, e lo sradicò. Con i rami fece una piccola catasta e cercò di accenderla, ma i rametti produssero soltanto un fumo acre. Deluso, scagliò la scatola con l'acciarino a Brom. «Non ci riesco, con questo dannato vento. Vedi se ci riesci tu; altrimenti avremo una cena fredda.»
Brom s'inginocchiò davanti al mucchietto di sterpi e lo guardò con aria polemica. Dispose qualche rametto in modo diverso e poi soffregò l'acciarino, provocando una cascata di scintille. Ancora fumo e nient'altro. Brom si accigliò e provò di nuovo, ma non ebbe miglior fortuna di Eragon. «Brisingr!» imprecò furente, soffregando di nuovo l'esca. All'improvviso comparvero delle fiamme, e il vecchio si ritrasse con un'espressione soddisfatta. «Ci siamo. Probabilmente covava all'interno.» Si esercitarono con le spade finte mentre il cibo cuoceva, ma erano così stanchi che smisero presto. Dopo aver mangiato, si distesero accanto a Saphira e si addormentarono confortati dal suo tepore. Lo stesso vento gelido li salutò il mattino dopo, spazzando la spaventosa desolazione. Le labbra di Eragon si erano spaccate durante la notte; ogni volta che sorrideva o parlava, si coprivano di minute goccioline di sangue. Leccarle non faceva che peggiorare le cose. Lo stesso era per Brom. Lasciarono che i cavalli bevessero dalle loro scorte d'acqua prima di montarli. La giornata trascorse monotona, in un'estenuante, ininterrotta cavalcata.
Il terzo giorno Eragon si svegliò riposato. Quello, e il fatto che il vento era calato, lo mise di buonumore. Ma la sua allegria si spense quando vide che il cielo davanti a loro era nero di nubi pesanti.
Brom guardò le nuvole e fece una smorfia. «Di norma non mi andrei a ficcare in una tempesta come quella, ma dato che ci colpirà qualunque cosa facciamo, credo che sia meglio fare ancora un po' di strada.»
L'aria era ancora quieta quando raggiunsero il fronte temporalesco. Mentre entravano nella sua ombra, Eragon alzò lo sguardo. L'enorme nuvola aveva una forma strana: assomigliava a una cattedrale con il vasto soffitto a volta. Con uno sforzo d'immaginazione, vide anche i pilastri, le vetrate, i banchi e i gargoyle ghignanti, Era di una bellezza selvaggia.
Mentre Eragon abbassava lo sguardo, un'onda gigantesca spazzò l'erba davanti a loro e la appiattì. Gli ci volle un secondo per realizzare che l'onda era una formidabile raffica di vento. Anche Brom la vide, e incurvarono le spalle, preparandosi alla tempesta.
Il fortunale era quasi su di loro quando Eragon ebbe un pensiero terribile e si voltò sulla sella, gridando sia con la voce che con la mente; «Saphira! Atterra!» Brom si fece pallido. La videro scendere in picchiata verso il terreno.
Saphira volò dalla parte da cui erano venuti, per guadagnare tempo. Mentre la guardavano, l'ira della tempesta si abbattè su di loro come un maglio. Eragon annaspò e strinse con forza la sella, mentre un ululato selvaggio gli invadeva le orecchie. Cadoc vacillò e piantò gli zoccoli nel terreno, con la criniera che svolazzava. Il vento artigliava i vestiti di Eragon con dita invisibili, mentre l'aria si oscurava di nuvole gonfie di polvere.
Il ragazzo socchiuse gli occhi, cercando Saphira. La vide atterrare pesantemente e poi accovacciarsi, affondando gli artigli nel terreno. Il vento la raggiunse mentre cominciava a chiudere le ali, e con un violento strattone le riaprì e la trascinò in aria. Per un attimo rimase, sospesa, sorretta dalla forza della tempesta. Poi il vento la fece ricadere di schianto sul dorso.