Con uno sforzo sovrumano, Eragon costrinse Cadoc a voltarsi e a galoppare verso la dragonessa, spronandolo sia con i tacchi che con la mente.
L'arco lo colpì sulla testa. Una forte raffica gli fece perdere l'equilibrio e il ragazzo volò in avanti per ricadere sul petto. Scivolò, poi si rialzò con un ringhio, ignorando i graffi profondi che gli rigavano la pelle.
Saphira era a pochi metri da lui, ma Eragon non poteva avvicinarsi oltre senza rischiare di essere colpito dalle ali fluttuanti. La dragonessa lottava per richiuderle contro la tempesta furiosa. Il ragazzo corse verso la sua ala destra, deciso a trattenerla a terra, ma il vento afferrò la creatura e la fece capitombolare sopra di lui. Le aguzze punte dorsali mancarono la sua testa di un soffio. Saphira artigliò di nuovo il terreno nello sforzo di restare ancorata al terreno.
Le ali ripresero a gonfiarsi, ma prima che potessero trascinarla per aria, Eragon si gettò su quella sinistra. L'ala si accartocciò e Saphira la tenne saldamente chiusa contro il corpo. Eragon volteggiò sopra la sua schiena e cadde sull'altra. Ma all'improvviso l'ala si gonfiò, mandandolo a finire a terra. Eragon attuti l'impatto della caduta rotolando, poi balzò in piedi e afferrò di nuovo l'ala. Saphira cominciò a chiuderla, e lui spinse con tutte le sue forze. Il ventò lottò contro di loro per un momento, ma con un ultimo sforzo congiunto riuscirono a vincerlo.
Eragon si appoggiò a Saphira, ansante. S
Lei impiegò un istante per rispondere. C
Eragon la guardò, preoccupato.
Quando ebbero raggiunto Brom, il vecchio urlò sopra il vento: «È ferita?»
Eragon fece un cenno di diniego e smontò. Cadoc gli trotterellò vicino con un nitrito. Mentre accarezzava la lunga guancia del baio. Brom indicò una nera cappa di pioggia che avanzava verso di loro in ondeggianti cortine grigie. «E poi, cos'altro ci aspetta?» gridò Eragon, stringendosi addosso i vestiti. Fece una smorfia quando il torrente li investì. La pioggia battente era fredda come ghiaccio; ben presto furono fradici e tremanti.
I lampi squarciavano il cielo, illuminando il mondo per poi lasciarlo ripiombare nel buio. L'orizzonte era solcato da fulmini azzurrini alti miglia, seguiti da tuoni che scuotevano la terra, Era uno spettacolo straordinario, ma anche di grande pericolo. Qua e là l'erba prese fuoco per i fulmini, piccoli incendi presto estinti dalla pioggia.
La furia degli elementi fu lenta a placarsi, ma con il trascorrere del giorno la tempesta si spostò altrove. Il cielo comparve di nuovo, nudo, imporporato dagli ultimi bagliori del sole morente. Il netto contrasto fra le zone in ombra e le nubi fulgide di colori attribuiva agli oggetti un nitore singolare: gli steli d'erba sembravano solidi come pilastri di marmo, le cose ordinarie assumevano una bellezza ultraterrena. Eragon aveva la sensazione di trovarsi dentro un dipinto. La terra rinvigorita e odorosa di fresco schiarì le loro menti e risollevò i loro spiriti. Saphira si stiracchiò, tese il collo e ruggì, felice. I cavalli indietreggiarono spaventati, ma Eragon e Brom sorrisero davanti alla sua esuberanza.
Prima che la luce svanisse, si fermarono per la notte, scegliendo una piccola conca nel terreno. Troppo stanchi per giocare alla lotta, si addormentarono subito.
YAZUAC. LA CITTÀ FANTASMA
P
er quanto fossero riusciti a riempire in parte gli otri durante la tempesta, quella mattina terminarono la loro scorta d'acqua. «Spero che stiamo andando nella direzione giusta» disse Eragon, ripiegando la sacca di pelle vuota. «perché saremo nei guai, se non raggiungiamo
Yazuac oggi stesso.»
Brom non sembrava preoccupato. «Ho, già viaggiato in queste lande prima d'ora. Yazuac sarà in vista prima di sera.»
Eragon diede in una risatina dubbiosa. «Forse tu vedi qualcosa che io non vedo. Come fai a sapere dove siamo, quando il paesaggio è tutto uguale per leghe e leghe e leghe?» .. ' «Perché non mi faccio guidare dal paesaggio, ma dalle stelle e dal sole. Loro non ingannano mai. Forza! Rimettiamoci in marcia. È da stupidi temere, quando non c'è nulla da temere. Yazuac ci sarà.»