Un debole grido interruppe il corso dei suoi pensieri. Sembrava che qualcuno fuori stesse urlando. Lo ignorò. Lascia che se ne occupi qualcun altro. Qualche minuto dopo lo udì ancora, più forte. Sbuffò, stizzito. Perché non abbassano la voce? Garrow sta riposando. Guardò Elain, ma lei non parve infastidita dal baccano.
Ci fu una pausa.
Si sentì sollevato.
La dragonessa gli inviò l'immagine di un boschetto.
Si separarono a malincuore, Eragon guardò fuori dalla finestra e si stupì nel vedere che il sole era tramontato. Sentendosi molto stanco, si alzò vacillante per andare da Elain, che stava avvolgendo dei pasticci di carne in carta oleata. «Torno a casa di Gertrade a dormire» le disse. Lei finì di chiudere i pacchetti e domandò: «Perché non resti con noi? Starai più vicino a tuo zio, e Gertrude potrà riavere il suo letto.»
«Avete posto?» domandò, esitante.
«Ma certo.» Si asciugò le mani. «Vieni con me; ti faccio vedere.» Lo accompagnò in una stanza vuota al piano di sopra. Eragon si sedette sul bordo del letto. «Ti serve niente?» gli chiese lei. Lui scosse il capo. «Comunque io sarò di sotto. Chiamami, se hai bisogno.» Eragon ascoltò i passi di Elain scendere le scale. Poi aprì la porta e scivolò lungo il corridoio, fino alla camera di Garrow. Gertrude gli sorrise da sopra i ferri da calza.
«Come sta?» sussurrò lui.
La voce della donna era velata dalla stanchezza. «È debole, ma la febbre si è abbassata, e qualche ustione sembra vada meglio. Non possiamo far altro che aspettare, ma forse questo significa che può guarire.»
Di umore migliore, Eragon tornò nella sua stanza. Il buio lo avvolse ostile mentre si rintanava sotto le coperte. Alla fine il sonno lo vinse, curando le ferite che il suo corpo e la sua anima avevano sofferto.
L'INGIUSTIZIA DELLA VITA
E
ra ancora buio quando Eragon si svegliò di soprassalto, ansante. La stanza era gelata; aveva la pelle d'oca sulle braccia e sulle spalle. Mancavano un paio d'ore all'alba: era il momento della notte in cui nulla si muove e la vita attende di essere sfiorata dai primi tiepidi raggi di
sole.
Il cuore gli martellava, gonfio di una terribile premonizione. Era come se il mondo fosse coperto da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla sua stanza. Si alzò e si vestì. Angosciato, corse lungo il corridoio e si fermò allarmato quando vide la porta della camera di Garrow aperta, e tanta gente assiepata dentro.
Garrow giaceva composto sul letto. Indossava abiti puliti, aveva i capelli pettinati all'indietro e il suo viso era sereno. Si sarebbe detto che dormisse, se non fosse stato per l'amuleto d'argento appeso al collo e il mazzolino di cicuta essiccata adagiato sul petto: gli ultimi doni dei vivi al defunto. Katrina era in piedi accanto al letto, il volto pallido, gli occhi bassi. La udì mormorare: «Speravo di poterlo chiamare padre, un giorno...»