Читаем Morire dentro полностью

Si piantano lì, volgendomi la schiena. Silenzio compatto. Buenos dias, señora. Bella giornata, non è vero, signora? Che deliziosa ragazzina! Invece resto muto. Non la conosco; sembra proprio identica a tutte le altre che vivono in questo formicaio, e persino la sua emissione cerebrale è roba standard, non individualizzabile, non caratterizzabile: indistinti pensieri di banane e riso, i risultati della lotteria di questa settimana, e i principali programmi televisivi di questa sera. È una cagna poco intelligente, però è umana e io la amo. Come si chiama? Sig.ra Altagracia Morales, forse. Sig.ra Amantina Figueroa. Sig.ra Filomena Mercado. Amo i loro nomi. Pura poesia. Io crebbi di getto quando collezionai ragazze che si chiamavano Sondra Wiener, Beverly Schwartz, Sheila Weisbard. Signora, è possibile che voi siate la sig.ra Inocencia Fernandez? La sig.ra Clodomira Espinosa? La sig.ra Bonifacia Colon? Forse la sig.ra Esperanza Dominguez. Esperanza. Esperanza. Ti amo, Esperanza. Esperanza germoglia eterna nei petti umani. (Io c’ero, il Natale scorso, per la corrida. Esperanza Springs, Nuovo Messico; alloggiai all’Holiday Inn. No, sto inventando tutto). Pianterreno. Prontamente mi faccio avanti per tenere aperta la porta. La deliziosa, imperturbabile chiquita non mi sorride neppure, mentre esce.

Al metrò, adesso, correre, molti isolati più in là. Qui, lontano dai quartieri alti, i binari sono ancora sopraelevati. Faccio di corsa le scale scricchiolanti, che stanno sgretolandosi, e arrivo al livello della stazione quasi completamente sfiatato. Le conseguenze di una vita regolata, ci scommetto. Dieta semplice, non fumare, non bere troppo, niente acido o mescalina, niente fretta. La stazione, a quest’ora, è praticamente deserta.

Però, immediatamente, sento il lamentarsi di ruote impetuose, metallo contro metallo, e simultaneamente colgo l’urto dirompente di un’improvvisa caterva di menti che si scagliano tutte in una volta contro di me, da nord, stipate nelle cinque o sei carrozze del treno in arrivo. Le anime schiacciate di quei passeggeri formano un unico magma primordiale, che preme con insistenza contro di me. Palpitano come tremuli frammenti gelatinosi di plancton brutalmente spremuti insieme nella rete di qualche oceanografo, che danno vita a un unico organismo complesso nel quale le singole individualità vanno perdute.

Mentre il treno scivola dentro la stazione, riesco ad afferrare isolate parole prive di senso e acute grida dall’individualità ben definita; una selvaggia stilettata di concupiscenza, un rauco lamento pregno d’odio, un’acuta fitta di dispiacere, un improvviso deliberato borbottio interiore: balzano fuori dalla sconcertante totalità, come strani piccoli frammenti e guizzi di melodia balzano fuori dalla tenebrosa macchina orchestrale di una sinfonia di Mahler. Il potere è ingannevolmente vigoroso in me, oggi. Sto captando moltissimo. È il momento di maggior potenza da settimane. Una causa è certamente la bassa umidità. Però non mi lascio ingannare fino a pensare che il declino si sia arrestato. Quando cominciai a perdere i capelli, ci fu un felice periodo in cui il processo di caduta sembrò arrestarsi e capovolgersi, quando nuove chiazze di finissima scura lanugine cominciarono a spuntar fuori sulla mia fronte nuda.

Però, dopo un’iniziale ondata di speranza, arrivai a un quadro più realistico: non si trattava di un miracoloso rinfoltimento, ma soltanto di un rigurgito violento degli ormoni, una temporanea pausa nel decadimento, su cui non c’era da fare affidamento. E, col tempo, la superficie di copertura massima dei miei capelli cominciò a retrocedere. È così anche in questo caso. Quando sai che qualcosa ti sta morendo dentro, impari a non fidarti troppo delle effimere reviviscenze. Oggi il mio potere è forte, eppure può darsi che domani io non senta nient’altro che lontani mormoni stuzzicanti.

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