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Morire dentro

Morire dentro: è questa la sorte che attende David Selig, il telepate, profilandosi come un incubo all'orizzonte della sua esistenza. Una minaccia a un tempo psichica e biologica corrode i suoi poteri: e per Selig, abituato a «spiare» gli angoli più morbosi e reconditi dei suoi simili, a nutrirsi delle emozioni altrui, il lento affievolirsi delle proprie capacità è un graduale stillicidio. Robert Silverberg ci trasporta con questo romanzo (uno dei suoi ultimi) nella mente del telepate, sicché il lettore può provare, in «soggettiva», l'incredibile esperienza dl guardare in un altro universo, condividendo le emozioni dl una terza vista. Selig raggiunge cosi l'età in cui il suo dono potrebbe maggiormente giovargli: e invece si trova nuovamente respinto da una società che non è pronta per quelli come lui, e in cui anche il rapporto con un essere che possiede i suoi stessi poteri ESP diventa ambiguo e pericoloso. Moderno «Slan», David Selig si trova di fronte a un enigma troppo vasto per la sua fragile personalità: perchè sta perdendo il suo potere mentale? Si tratta solo di un male biologico, o di una minaccia più insidiosa? E che cosa sarà di lui al termine di questa incredibile «odissea nel pensiero»? Come ha scritto la rivista Analog: «Questo romanzo è intensamente umano… intensamente vero. I lettori ricorderanno Morire dentro per una generazione, e forse ancor più».Robert Silverberg non ha bisogno di presentazioni; Fantasy & Science Fiction ha scritto di lui: «E il nostro autore migliore. Di volta in volta ha costantemente ampliato i parametri della fantascienza».

Robert Silverberg

Научная Фантастика18+
<p>Robert Silverberg</p><p>Morire Dentro</p><p>1</p>

Devo, dunque, andare in centro, all’Università, ancora a caccia di dollari. Non è che mi ci voglia molta grana per andare avanti — duecento dollari al mese andranno proprio bene — però sto prosciugandomi e non oso tentare di farmeli prestare di nuovo da mia sorella. Presto gli studenti avranno bisogno dei loro primi compiti finali del semestre; questo è sempre un lavoro sicuro. Il cervello stanco, che sta consumandosi, di David Selig è, ancora una volta, a disposizione. Potrei arrivare a raccogliere 75 dollari di lavoro in questa deliziosa dorata mattina d’ottobre. L’aria è frizzante, limpida. Un campo d’alta pressione copre New York City, cacciandone via umidità e nebbia. In questo clima i miei poteri, che stanno affievolendosi, sono in pieno rigoglio. Andiamo allora, tu e io, mentre il mattino è disteso contro il cielo. Al metrò Broadway-IR-T. Tenga pronti i suoi poteri, prego.

Tu e io. A chi mi riferisco? Sto andando in centro tutto solo, dopo tutto. Tu e io.

Perché, naturalmente, mi riferisco a me stesso e a quella creatura che vive dentro di me, restando nascosta nella sua tana porosa e spiando i mortali, ignari. Questo mostro strisciante, questo mostro malato, che addirittura sta morendo più in fretta di me. Yeats, una volta, scrisse un dialogo tra lui stesso e la sua anima; perché, dunque, non dovrebbe Selig, che è diviso contro se stesso in un modo che quel povero scemo di Yeats non sarebbe neanche riuscito a concepire, perché non dovrebbe parlare del suo unico e deperibile dono come se fosse un intruso insediato nel suo cranio? Perché no? Andiamo, dunque, tu e io. Giù nell’ingresso. Schiaccia il pulsante. Entra nell’ascensore. C’è puzza di aglio. Questi contadini, questi portoricani, brulicanti, lasciano i loro penetranti odori un po’ dappertutto. I miei vicini. Io li amo. Giù. Giù.

Sono le 10,45 del mattino, ora legale dell’Est. Nel Central Park la lettura della temperatura attuale è di 14°. L’umidità è stabilizzata sul 28% e il barometro segna 30,30 e sta scendendo con il vento da nord-est a 11 miglia all’ora. Le previsioni sono: cielo sereno e tempo bello, oggi, questa notte e domani, con temperature minime attorno ai 30. La probabilità che piova oggi è nulla; del 10% per domani. Il livello della qualità dell’aria è ritenuto buono. David Selig ha 41 anni suonati. Leggermente più alto della media, ha la figura scarna di uno scapolo abituato alla sua magra cucina, e l’atteggiamento abituale del suo volto è un cipiglio dolce, imbarazzato. Sbatte moltissimo le palpebre. Con quel suo giaccone in cotone azzurro scolorito, gli stivali robusti, quei malconci calzoni scampanati annata 1969, ha un aspetto superficialmente giovanile, almeno dal collo in giù; di fatto, però, sembra piuttosto una specie di profugo da un laboratorio di ricerca illegale, dove le teste calve, rugose, di angosciati uomini di mezza età vengono innestate sui corpi riluttanti di adolescenti. Come può essergli successo, questo? A che punto il suo volto e il suo cranio hanno incominciato a invecchiare? Le traballanti cabine dell’ascensore proiettano cigolii acuti di risa di scherno su di lui, mentre Selig scende dalla sua tana a due stanze, al dodicesimo piano. Lui si chiede incuriosito se quelle cabine arrugginite possono essere addirittura più vecchie di lui. Lui è del 1935. Quel gruppo di case popolari, ha l’impressione, potrebbe risalire al 1933 o al 1934. Quand’era sindaco Fiorello H. La Guardia. Però, può darsi che siano più recenti, proprio dell’immediato anteguerra. (Ricordi il 1940, David? È stato l’anno in cui ti accompagnammo all’Esposizione Universale. Questo è il trylon, quella è la perisfera). Ad ogni modo la costruzione sta invecchiando. Che cosa non invecchia?

L’ascensore si arresta, lacerante, al settimo piano. Anche prima che la porta sfregiata si apra, io afferro una vivida vibrazione mentale di vitalità femminile, spagnola, che danza attraverso le fessure. Ovvio! Le probabilità che chi ha chiamato l’ascensore sia una giovane portoricana sono schiaccianti: la casa ne è piena, i mariti sono fuori al lavoro a quest’ora della giornata; nonostante tutto, però, sono assolutamente sicuro che sto leggendo le emanazioni psichiche, non sto tirando a indovinare. Sicuro… quasi… È bassa di statura, scura di carnagione, forse sui 23 anni, e vistosamente incinta. Posso cogliere con chiarezza la doppia emissione neurale: il proiettarsi in avanti, tutto argento vivo, della mente superficiale, sensuale, di lei, e i battiti attutiti, indistinti, del feto, di circa sei mesi, ermeticamente chiuso nel suo corpo troppo gonfio. Ha il volto piatto e fianchi larghi, con due piccoli occhi scintillanti e una bocca sottile, serrata. Un secondo figlio, una sporca ragazzina di circa due anni, si tiene stretta al pollice di sua madre. La piccina mi rivolge una risatina soffocata, mentre la donna si concede un breve, sospettoso sorriso entrando in ascensore.

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