Una oscurità tortuosa, densa, fumosa, nauseante. Gli sembrava di stare strisciando in una stretta galleria verso un punto luminoso. Poi all’improvviso capì di aver ripreso conoscenza. Ma forse lì attorno c’era qualcuno che gli avrebbe parlato, e gli avrebbe fatto delle domande, se avesse aperto gli occhi, e così li tenne ben chiusi.
Teneva gli occhi chiusi e pensava.
Ci deve essere una risposta.
Non ce n’erano, di risposte.
Lombrico angelico.
Ondata di calore.
Anitra in una bacheca di monete.
Ghirlanda appassita di brutti fiori.
Etere sulla soglia.
Mettili in relazione;
Un minimo comune denominatore. Un qualche cosa che li collegasse, che li saldasse in una serie coerente; un qualche cosa che si riuscisse a capire; un qualche cosa per cui si potesse forse fare qualche cosa. Un qualche cosa che si potesse combattere.
Verme.
Calore.
Anitra.
Ghirlanda.
Etere.
Verme.
Calore.
Anitra.
Ghirlanda.
Etere.
Verme, calore, anitra, ghirlanda, etere, verme, calore, anitra, ghirlanda…
Le parole gli martellavano in testa, come il battito di un tamtam; gli gridavano nel buio con un linguaggio incomprensibile.
XIII
Doveva aver dormito, se quello poteva essere chiamato sonno. Di nuovo pieno giorno. Nella stanza c’era soltanto un’infermiera.
— Che… giorno è? — chiese Charlie.
— Mercoledì pomeriggio, signor Wills. C’è niente che possa fare per lei?
Mercoledì pomeriggio. Il giorno delle nozze.
Non avrebbe dovuto rimandarle, adesso. Jane sapeva. Tutti sapevano. Le avevano rimandate per lui. Era stato un debole a non averlo fatto lui stesso, prima che…
— C’è gente che aspetta di vederla, signor Wills. Si sente abbastanza bene per ricevere visitatori?
— Io… Chi?
— Una certa signorina Pemberton e suo padre. E un certo signor Johnson. Li vuoi vedere?
Be’, lo voleva?
— Aspetti, — disse Charlie. — Che cosa ho, di preciso, che non va? Voglio dire…
— Ha subìto un duro colpo. Ma ha dormito tranquillo nelle ultime dodici ore. Sta benissimo, fisicamente. È anche in grado di alzarsi, se ne ha voglia. Naturalmente, però, non deve andarsene.
Mercoledì. Il giorno delle nozze. Jane.
Non poteva sopportare di vedere…
— Senta, — disse, — vuol far entrare il signor Pemberton, da solo? Preferirei…
— Benissimo. Nient’altro che possa fare per lei? — Charlie scosse la testa, tristemente. Provava una tremenda pietà per se stesso. C’era qualcosa che qualcuno avrebbe potuto fare per lui?
Il signor Pemberton gli tese la mano, con naturalezza. — Charles, non posso incominciare col dirti quanto mi dispiaccia…
Charlie annuì. — Grazie. Im… immagino che lei capisca perché non voglio vedere Jane. Mi rendo conto che… che, naturalmente, non possiamo…
Il signor Pemberton annuì. — Jane — oh — Jane capisce. Vuole vederti, ma si rende conto che questo potrebbe farvi sentire peggio, entrambi, almeno al momento attuale. E, Charles, se c’è qualcosa che uno di noi possa fare…
Che cosa c’era che qualcuno potesse fare?
Strappare le ali ad un lombrico?
Tirar fuori un’anitra da una bacheca?
Trovare una palla da golf andata persa?
Dopo che i Pemberton se ne furono andati, entrò Pete. Il Pete più calmo e controllato che Charlie avesse mai visto,
— Charlie, te la senti di discutere la faccenda? — chiese Pete.
Charlie sospirò. — Sì, se servisse a qualcosa. Mi sento bene, fisicamente. Ma…
— Ascoltami, non devi lasciarti deprimere. C’è una risposta, da qualche parte. Ora so, avevo torto. C’è una relazione, un legame tra le cose pazzesche che ti sono capitate. Deve esserci.
— Certo, — disse Charlie, stancamente. — Ma quale?
— È quello che dobbiamo scoprire. In primo luogo dobbiamo farla in barba agli psichiatri che ti aizzeranno dietro, non appena riterranno che tu stia abbastanza bene per sopportano. Bene, esaminiamo la faccenda dal loro punto di vista, così sapremo che cosa dir loro. Primo…
— Quanto ne sanno?
— Be’, farneticavi, nel tuo stato di incoscienza, della faccenda del verme, e di un’anitra e di una palla da golf; ma si può sempre far passare il tutto per un normale vaneggiamento, come parlare nel sonno, sognare. Nega soltanto di sapere qualcosa al riguardo o qualsiasi altra cosa che sia in relazione con uno di quei fatti. Certo, la faccenda dell’anitra era nei giornali, ma non era una grossa storia e il tuo nome non compariva. Così non scopriranno mai il collegamento. E se dovessero riuscirci, nega. Bene, restano le due volte in cui sei crollato e ti hanno portato qui in stato di incoscienza.
Charlie annuì. — E che cosa ne hanno dedotto?
— Sono perplessi. Quanto alla prima volta, non ci capiscono molto e sono propensi a lasciar perdere. La seconda… Be’, insistono che tu devi, in qualche modo, esserti somministrato quell’etere.
— Ma perché? Perché uno dovrebbe somministrarsi dell’etere?