Читаем Shadrach nella fornace полностью

Pazienta brevemente mentre la porta lo esamina e lo accetta. Tutte le stanze interne della suite imperiale sono divise tra loro da barriere impenetrabili simili a questa, più piccole in dimensione delle porte principali che si trovano alle cinque interfacce, ma analogamente sospettose: a nessuno qui è concesso vagare liberamente di stanza in stanza. Dopo un momento, la porta gli concede l’accesso al Vettore di Comitato Uno. Si tratta di una stanza ampia e bene illuminata, di forma sferica come tutte le stanze più importanti nella suite di Gengis Mao. Occupa il centro fisico dell’appartamento, il polo attorno al quale gira tutto il resto, e in un senso meno letterale è il centro nervoso della struttura governativa planetaria, il Comitato Rivoluzionario Permanente. Qui arrivano, giorno e notte, dispacci urgenti dai quadri del Comitato di ogni città del mondo; e qui, giorno e notte, notabili del Comitato siedono davanti a intricate consolle costellate di terminali, elaborando nuove strategie e comunicandole a quei satrapi meno potenti che governano le province esterne. Tutte le domande di immunizzazione con Antidoto di Roncevic passano da questa stanza; tutte le richieste di trapianto d’organi, terapia rigenerativa o altri servizi medici d’importanza vitale vengono prese in esame nel Vettore di Comitato Uno; tutte le dispute all’interno di strutture regionali del Comitato vengono risolte qui secondo i principi della depolarizzazione centripeta, il più grande dono filosofico che Gengis Mao abbia fatto all’umanità. Shadrach Mordecai non è un politico, e si cura poco degli eventi che hanno luogo nel Vettore di Comitato Uno; ma, poiché la disposizione di quel piano dell’edificio gli impone di attraversare quella stanza diverse volte al giorno, gli capita di sostare di tanto in tanto a osservare le fatiche dei burocrati: allo stesso modo in cui potrebbe capitargli di fermarsi a esaminare il comportamento di una colonia di insetti bizzarri in un ciocco di legno marcescente.

Pare che non stia succedendo granché al momento. Nei momenti di crisi più grave, tutti e dodici i posti alle consolle sono occupati, e Gengis Mao in persona, seduto ai comandi della sua elaborata apparecchiatura personale, al centro di tutto, manovra fiero la sua formidabile batteria di sofisticati congegni di comunicazione e dirige il corso delle strategie. Ma questi sono giorni tranquilli. L’unica crisi al mondo che desti attenzione è quella nel fegato del Presidente, e presto vi si porrà rimedio. Sono ormai settimane che Gengis Mao non si è dato cura di sedersi al suo posto nel Vettore di Comitato Uno, preferendo occuparsi delle sue responsabilità di sovrano dal suo studio privato, un locale meno vasto che si trova di fianco alla sua camera da letto. E solo tre delle consolle sono in uso questa mattina, manovrate da tre vicepresidenti, un uomo e due donne; tutti e tre hanno l’aria stanca, ricevono messaggi e formulano le risposte appropriate sbadigliando, stravaccati sulle poltrone. Mordecai, il passo rapido, è arrivato a metà della stanza quando qualcuno lo chiama per nome. Si volta e vede che Mangu, il successore designato di Gengis Mao, gli si sta avvicinando dalla direzione dello studio privato del Presidente.

— Il Khan verrà operato oggi? — si informa Mangu con fare preoccupato.

Mordecai replica, annuendo: — Tra tre ore circa.

Mangu aggrotta la fronte. È un giovane mongolo dall’aspetto curato e attraente, insolitamente alto per la sua razza: alto quasi quanto lo stesso Mordecai. Il suo volto è tondo, i lineamenti simmetrici ed eleganti; gli occhi attenti e vivaci. In questo momento sembra teso, agitato, apprensivo.

— Andrà tutto bene, Shadrach? Ci sono rischi?

— Non preoccuparti. Non diventerai Khan quest’oggi. È solo un trapianto del fegato, dopotutto.

— Solo!

— Gengis Mao ne ha già fatti in abbondanza.

— Ma quante operazioni chirurgiche può reggere ancora? Gengis Mao è un uomo anziano.

— Meglio che lui non ti senta dire cose del genere!

— Probabilmente ci sta ascoltando proprio in questo momento — dice Mangu, noncurante. Parte della tensione sembra lasciarlo. Fa una smorfia. — Il Khan non prende mai sul serio quel che dico io, in ogni caso. Sono convinto che a volte mi consideri un po’ uno sciocco.

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