In preda al panico, Eragon respinse le emozioni di Saphira e tenne d'occhio la sua coda. Quando gli passò accanto, si gettò di lato e le afferrò una punta del dorso. Tenendosi ben saldo, si issò sul piccolo incavo alla base del collo, mentre lei. tornava a impennarsi. «Basta, Saphira!» gridò. Il flusso di pensieri cessò di colpo. Il ragazzo le accarezzò le squame. «Andrà tutto bene.» La dragonessa si rannicchiò e alzò le ali, tenendole sospese per un istante; poi le abbassò di colpo e spiccò il volo.
Eragon lanciò un urlo quando il terreno si allontanò dai suoi piedi e cominciarono a volare sopra gli alberi. Il vento lo investiva con violenza, strappandogli il respiro, Saphira ignorò il suo terrore e virò verso la Grande Dorsale. Sotto di loro, Eragon scorse la fattoria e il fiume Anora. Il sito stomaco si ribellò. Strinse le braccia intorno al collo di Saphira e per non vomitare si concentrò sulle squame che aveva davanti al naso, mentre la dragonessa continuava la sua ascesa. Quando il volo si fece più regolare, Eragon trovò il coraggio di guardarsi attorno.
L'aria era così fredda che sulle sue ciglia si cristallizzò uno strato di brina. Avevano raggiunto le montagne più in fretta di quanto non ritenesse possibile. Dall'alto, le cime sembravano gigantesche zanne affilate come rasoi, in attesa di farli a brandelli. Saphira s'inclinò su un lato all'improvviso, ed Eragon perse quasi l'equilibrio. Si asciugò le labbra, amare di bile, e seppellì di nuovo la testa nella nuca della creatura.
Ben presto furono circondati dalle montagne, gigantesche pareti candide interrotte da rupi di granito. I ghiacciai risplendevano azzurri come fiumi gelati. Sotto di loro si aprivano lunghe valli e paurose voragini. Eragon udì le strida sbigottite degli uccelli quando Saphira comparve davanti a loro. Vide un gregge di capre lanose saltellare da una cengia all'altra di una parete scoscesa. Era in balìa dei mulinelli di vento provocati dalle ali di Saphira, e tutte le volte che lei muoveva il collo veniva sballottato da una parte all'altra. La dragonessa sembrava instancabile. Eragon temeva che avrebbe volato per tutta la notte. Ma al calar delle tenebre iniziò la lènta discesa. Eragon guardò avanti e vide che puntavano verso una piccola radura in una valle. Saphira planò tracciando ampie spirali, sfiorando le cime degli alberi. Frenò in vista del terreno, gonfiò le ali e atterrò sulle zampe di dietro. I suoi potenti muscoli vibrarono nell'assorbire l'impatto con il suolo. Infine posò anche le zampe davanti e fece un passo per recuperare l'equilibrio. Eragon smontò ancora prima che la dragonessa chiudesse le ali.
Non appena toccò terra, le ginocchia gli cedettero e cadde a faccia avanti nella neve. Un dolore lancinante alle gambe gli mozzò il fiato e gli fece venire le lacrime agli occhi. I suoi muscoli, contratti per lo sforzo di cavalcare così a lungo, tremavano violentemente. Rotolò sulla schiena con un brivido e cercò di sgranchirsi le gambe. Le guardò, tendendo il collo. Due grandi aloni scuri macchiavano l'interno delle braghe di lana. Toccò la stoffa. Era umida. Allarmato, si abbassò le braghe e fece una smorfia: aveva l'interno delle cosce scorticato a sangue. La pelle si era consumata, dopo tanto sfregare contro le dure squame di Saphira. Si tastò le abrasioni e si morse le labbra. Rasoiate di ghiaccio lo ferirono quando si alzò le braghe, e urlò quando la stoffa strusciò sulla carne viva. Provò ad alzarsi, ma le gambe non risposero.