La notte cominciava a oscurare il panorama; i profili torreggianti delle montagne gli erano ignoti. Eccomi sulla Grande Dorsale, senza sapere bene dove, nel cuore dell'inverno, con un drago impazzito, e non sono in grado di camminare o trovare un riparo. Sta calando la notte. Domani devo tornare alla fattoria. E l'unica modo per arrivarci è volare, ma non ce la faccio più. Inspirò a fondo. Oh, quanto vorrei che Saphira potesse sputare fuoco. Si voltò e la vide accanto a sé, accovacciata sulla neve. Le posò una mano sul fianco e scoprì che tremava. La barriera che le bloccava la mente si era dissolta, e la sua paura lo travolse. Cercò di tenerla a freno, inviandole immagini rassicuranti. Perché hai paura degli stranieri?
Assassini, sibilò lei.
Garrow è in pericolo e tu mi hai costretto a seguirti in questo assurdo viaggio! Non sei capace di proteggermi? La dragonessa ringhiò e fece schioccare le fauci irritata. Ma se credi di poterlo fare, perché sei fuggita?
La morte è veleno.
Eragon si alzò su un gomito, sforzandosi di contenere la propria delusione. Saphira, guarda dove siamo! Il sole è tramontato, e il tuo volo mi ha spellato a sangue le gambe. Era questo che volevi? No.
E allora perché l'hai fatto? chiese. Attraverso il contatto con Saphira, avvertì il suo rammarico per le ferite che senza volerlo gli aveva inflitto, ma non per le proprie azioni. Lei distolse lo sguardo e non rispose. La temperatura glaciale cominciò a intorpidire le gambe di Eragon: se non altro gli faceva sentire meno dolore, ma sapeva che alla lunga la situazione sarebbe peggiorata. Cambiò tattica. Finirò congelato, se non mi costruisci un ricovero dove possa ripararmi dal freddo. Anche un mucchio di aghi e rami di pino andrà bene.
La dragonessa parve sollevata nel sapere che lui aveva smesso di interrogarla. Non serve. Mi avvolgerò intorno a te e ti coprirò con le mie ali. Il fuoco nel mio ventre ti terrà caldo. Eragon lasciò ricadere la testa sul terreno. D'accordo, ma libera un po' di spazio dalla neve. Sarà più comodo. Per tutta risposta, Saphira spianò un cumulo di neve con un solo colpo di coda, e con gli artigli sgretolò l’ultimo strato di ghiaccio. Il ragazzo guardò il terreno brullo con una smorfia. Non ce la faccio ad arrivare fin lì; mi devi aiutare. La dragonessa abbassò la testa, più grande del torso di Eragon. Lui fissò i suoi enormi occhi color zaffiro e con le mani afferrò una delle punte d'avorio del suo dorso, Saphira sollevò dolcemente la testa e lo trascinò verso lo spiazzo pulito. Piano, piano. Vide le stelle quando scivolò sopra un sasso, ma riuscì a non allentare la presa. Nello spiazzo, Saphira si sdraiò su un fianco, mostrando il ventre tiepido, Eragon si accoccolò contro le squame morbide. La dragonessa alzò l'ala destra e lo racchiuse in una fitta tenebra, come una tenda vivente. Quasi subito l'aria perse il suo rigore.
Eragon infilò le braccia dentro la giubba e si avvolse le maniche vuote intorno al collo. Per la prima volta avvertì i morsi della fame. Ma la sua vera preoccupazione era un'altra: come faceva a tornare alla fattoria prima degli stranieri? E se non ce l'avesse fatta, che cosa sarebbe successo? Anche se mi costringo a cavalcare di nuovo Saphira, non arriveremo prima del pomeriggio. Gli stranieri potrebbero essere arrivati da un pezzo. Chiuse gli occhi e sentì una lacrima solitaria scorrergli lungo il viso. Che cosa ho fatto?
LA MORTE DELL'INNOCENZA
I
l mattino dopo, quando aprì gli occhi, Eragon pensò che il cielo fosse caduto. Sulla sua testa si ergeva una cupola di un azzurro intenso; tese una mano, ancora mezzo addormentato, e con le dita tastò una sottile membrana. Solo allora capì che cosa stava guardando. Girò piano il collo e