Читаем Operazione Domani полностью

Un piano d’azione… Nella stanza sembrava non ci fosse nessuno; c’era qualcuno al primo piano? Stai calma e ascolta. Se e quando fossi stata ragionevolmente certa di essere sola a quel piano, sarei scesa senza far rumore dal letto e avrei salito le scale come un topolino, su fino al secondo piano, e poi in soffitta, a nascondermi. Ad aspettare il buio. Poi fuori dalla soffitta, sul tetto giù per il muro del retro, e nel bosco. Una volta fra gli alberi dietro casa, non mi avrebbero più presa… ma prima di arrivarci, sarei stata un bersaglio facile.

Le probabilità? Una su nove. Forse una su sette, se mi caricavo a dovere. Il punto più debole di un piano da due soldi era l’elevata probabilità di venire individuata prima di essere al largo dalla casa; perché se mi avessero individuata (no, quando mi avessero individuata) non solo avrei dovuto uccidere, ma sarei stata costretta a farlo nel più silenzioso dei modi… perché l’alternativa era aspettare che mi terminassero; il che sarebbe accaduto non appena «il Maggiore» fosse giunto alla conclusione che non poteva spremermi più nulla. Per quanto quei gorilla fossero maldestri, non erano tanto stupidi (o almeno il Maggiore non era tanto stupido) da risparmiare la vita a un prigioniero torturato e stuprato.

Tesi le orecchie in ogni direzione e ascoltai.

«Non si muoveva nulla, nemmeno un topolino.» Inutile aspettare; ogni momento di ritardo serviva solo ad avvicinare l’attimo in cui qualcuno si sarebbe mosso. Aprii gli occhi.

— Sveglia, vedo. Bene.

— Boss! Dove sono?

— Che cliché orribilmente datato. Friday, tu puoi fare di meglio. Fai marcia indietro e riprovaci.

Mi guardai attorno. Una camera da letto, forse una stanza d’ospedale. Niente finestre. Illuminazione senza riverbero. Il tipico silenzio tombale, sottolineato più che spezzato dagli esilissimi sospiri dell’impianto di aerazione.

Guardai di nuovo Boss. Uno spettacolo adorabile. La solita vecchia, rozza benda sull’occhio; perché non voleva trovare il tempo per farsi rigenerare l’occhio? I suoi bastoni erano appoggiati a un tavolo, a portata di mano. Indossava il solito completo trasandato di seta grezza, una specie di pigiama tagliato da un sarto inetto. Ero mostruosamente felice di vederlo.

— Voglio ancora sapere dove sono. E come ci sono arrivata. E perché. Un posto sottoterra, senza dubbio, ma dove?

— Sottoterra, infatti, e di parecchi metri. «Dove» lo saprai quando avrai bisogno di saperlo, o per lo meno ti diremo come andare e venire. È stato questo che ha distrutto la nostra fattoria. Un posto gradevole, ma erano in troppi a conoscerne la posizione. «Perché» è ovvio. «Come» può aspettare. Rapporto.

— Boss, sei l’uomo più esasperante che io conosca.

— Grazie alla mia lunga pratica. Rapporto.

— E tuo padre ha conosciuto tua madre in un locale malfamato. E non si è tolto il cappello.

— Si sono conosciuti a un picnic domenicale della chiesa battista e credevano tutti e due nella Buona Fatina dei Denti Caduti. Rapporto.

— Hai le orecchie luride e sei un porco. Il viaggio fino a Elle-Cinque si è svolto senza incidenti. Ho trovato il signor Mortenson e gli ho consegnato il contenuto del mio poliedrico ombelico. La normale routine è stata interrotta da un incidente molto insolito. La città spaziale era stata investita da un’epidemia di affezioni respiratorie di origine ignota, e io ho contratto la malattia. Il signor Mortenson è stato gentilissimo. Mi ha ospitata a casa sua e le sue mogli mi hanno curata con grande abilità e tenero affetto. Boss, voglio che siano ricompensate.

— Ho preso nota. Continua.

— Sono rimasta fuori di testa per quasi tutto il tempo. È per questo che sono finita in ritardo di una settimana. Ma appena sono tornata in condizioni di viaggiare, ho potuto ripartire immediatamente. Il signor Mortenson mi ha detto che avevo già addosso la merce per te. Come hanno fatto, Boss? Un’altra volta la tasca del mio ombelico?

— Sì e no.

— Bella risposta.

— La tua sacca artificiale è stata usata.

— Come pensavo. Non dovrebbero esserci terminazioni nervose, ma quando è piena sento qualcosa. Una sensazione di pressione, forse.

Premetti le mani sul ventre attorno all’ombelico e contrassi i muscoli. — Ehi, è vuota! L’avete svuotata voi?

— No. Sono stati i nostri antagonisti.

— Allora ho fallito! Dio, Boss, è mostruoso.

— No — disse dolcemente lui — sei riuscita nella missione. Di fronte a grandi pericoli e ostacoli monumentali, hai ottenuto un successo perfetto.

— Davvero? — (Vi hanno mai appuntato al petto la Croce della regina Vittoria?) — Boss, piantala coi discorsi ambigui e tracciami un diagramma.

— Sarà fatto.

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