Читаем Le sabbie di Marte полностью

Si sentì vagamente indispettito. Una cosa soltanto si era svolta secondo le sue previsione. La sensazione di essere sospeso a mezz’aria, di potersi sospingere da una parete all’altra col semplice impulso di un dito, questo, sì, era meraviglioso come lui aveva immaginato, benché lo spazio fosse un po’ troppo angusto per tentare esperienze audaci. Adesso che erano state scoperte sostanze nuove che neutralizzavano gli organi preposti al senso dell’equilibrio, e la nausea spaziale era diventata solo un vago ricordo del passato, la mancanza di peso costituiva uno stato fisico delizioso, fatato. Ne fu molto contento. Come avevano sofferto, i suoi eroi!

«Molto strano» osservò in tono di sorpresa l’ufficiale medico, mentre lo scrittore, ormai completamente riavutosi, veniva sospinto attraverso il compartimento stagno. «Ha passato magnificamente tutti gli esami e tutte le prove fisiche, e certamente gli avranno fatte le solite iniezioni, prima di lasciare la Terra. Dev’essere un fatto psicosomatico.»

«I motivi non mi importano» disse, seccatissimo, il pilota, mentre accompagnava il corteo sino al cuore della stazione spaziale numero uno. «Mi interessa una cosa sola: chi ripulirà la mia carretta

Nessuno parve disposto a rispondere alla domanda che pure era stata espressa con tanto calore, e meno di tutti Martin Gibson, il quale era solo vagamente consapevole di uno scivolare di bianche pareti nel suo campo visivo. Subentrò quindi in lui, lentamente, una sensazione di aumento di peso, mentre un tepore carezzevole gli invadeva pian piano le membra. Infine prese pienamente conoscenza di ciò che lo circondava. Si trovava in una corsia d’ospedale, e una batteria di lampade infrarosse lo stava immergendo in un calore calmante che attraverso la pelle gli penetrava sin dentro le ossa.

«Come va?» chiese il medico.

Gibson sorrise debolmente.

«Mi dispiace per quello che è successo. Credete che potrà ripetersi?»

«Non so nemmeno come possa essere successo questa volta. È assolutamente insolito. Si ritiene che i rimedi usati ora siano infallibili.»

«Credo che sia tutta colpa mia» si scusò Gibson. «Vedete, io posseggo un’immaginazione fortissima, e mi ero messo a pensare ai sintomi della nausea spaziale…»

«Allora vi prego di non riprovarci» lo interruppe brusco il medico, «altrimenti saremo costretti a rispedirvi diritto filato sulla Terra. Non si possono tentare questi scherzi, quando si va su Marte. Resterebbe ben poco di voi, in capo a tre mesi!»

La stazione interna, stazione spaziale numero uno, come veniva solitamente chiamata, era situata esattamente a duemila chilometri dalla Terra, e compiva il giro del pianeta ogni due ore. Era stato il primo gradino costruito dall’uomo verso la conquista delle stelle, e benché ormai non fosse più tecnicamente necessaria al volo spaziale, la sua esistenza aveva ancora grande importanza per l’economia dei viaggi interplanetari. Tutte le partenze per la Luna o i pianeti avevano inizio da lì. Le goffe navi nucleari galleggiavano attorno a questo avamposto terrestre, mentre i carichi provenienti dalla madreterra venivano stipati nelle stive. Un servizio di traghetto con razzi a propulsione chimica collegava la stazione al pianeta sottostante, perché per legge nessun mezzo azionato da energia atomica poteva circolare a meno di mille chilometri dalla superficie terrestre. E molti ritenevano che anche questo margine di sicurezza fosse insufficiente.

La stazione spaziale numero uno si era talmente ingrandita col passare degli anni che i suoi primi ideatori non l’avrebbero certo riconosciuta. Intorno al nucleo centrale sferico erano sorti osservatori, laboratori per le comunicazioni, dotati di una fantastica rete di antenne, e veri labirinti di sezioni scientifiche di cui soltanto un esperto avrebbe saputo specificare il significato e l’uso. Ma nonostante tutte le aggiunte la funzione principale di questa luna artificiale consisteva tuttora nel rifornimento delle astronavi con le quali l’uomo sfidava la solitudine sterminata del sistema solare.

«Siete proprio sicuro di stare bene, adesso?» chiese il medico, mentre Gibson non osava ancora muoversi con disinvoltura.

«Mi sembra di sì» rispose Gibson, timoroso di compromettersi.

«Il polso risulta normale» borbottò l’ufficiale medico, come se la cosa gli seccasse. «Adesso vi porteremo nella stanza a gravità zero. Limitatevi a seguirmi e non stupitevi di quello che vi può capitare.»

Dopo questo avvertimento vago, precedette Gibson lungo un ampio corridoio illuminato intensamente che pareva incurvarsi all’insù alle due estremità. Gibson non ebbe il tempo di esaminare più a fondo il corridoio perché il medico aprì una porta laterale scorrevole e si avviò su per una rampa di gradini metallici. Gibson lo seguì automaticamente ma tutto a un tratto si avvide di quanto succedeva dinanzi a lui e si fermò lanciando involontariamente un grido di sorpresa.

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