Читаем Operazione Domani полностью

«Ricostruii» il delitto: Beaumont-Bookman-Buchanan aveva appena aperto col pollice la serratura dell’armadietto quando Belsen lo aveva colpito alle spalle, infilato dentro, usato la tessera del Diners Club per pagare; dopo di che, era scappato.

Sì, una teoria eccellente… E adesso bisognava intorbidire un po’ di più le acque.

Carte d’identità e carte di credito finirono automaticamente nel mio portafoglio; il passaporto di «Belsen» lo nascosi sulla mia persona. Non avrei potuto superare una perquisizione cutanea, però esistono modi per evitare queste perquisizioni; modi che comprendono (ma non si limitano a) bustarelle, ascendente personale, corruzione, indicazioni errate, e imbrogli belli e buoni.

Quando uscii dalla toilette, i passeggeri della capsula successiva erano scesi e si stavano mettendo in fila davanti a Dogana, Sanità e Immigrazione. Mi unii alla coda. L’agente della Dsi commentò che la mia sacca era molto leggera e mi chiese come andava il mercato nero degli eccitanti. Gli risposi con la mia espressione più stupida, quella che c’è sulla foto del passaporto. All’incirca in quel momento lui trovò il giusto gruzzolo infilato nel mio passaporto e lasciò cadere l’argomento.

Gli chiesi il miglior hotel e il miglior ristorante. Lui disse che non era tenuto a raccomandare nessuno, ma che aveva un’ottima opinione del Nairobi Hilton. In quanto al cibo, se potevo permettermelo, il Fat Man, di fronte all’Hilton, era il posto dove si mangiava meglio in tutta l’Africa. Sperava che mi sarei goduta la permanenza in Kenia.

Lo ringraziai. Pochi minuti dopo avevo lasciato la montagna ed ero scesa in città, e c’era poco da stare allegri. Stazione Kenia è a più di cinque chilometri d’altitudine; l’aria è sempre rarefatta e fresca. Nairobi è a un’altitudine maggiore di Denver, quasi la stessa di Ciudad de México; però si tratta solo di una frazione dell’altitudine di Monte Kenia, e siamo a due passi dall’equatore.

L’aria era densa e troppo calda da respirare; i miei abiti si inzupparono quasi immediatamente di sudore; i miei piedi cominciarono a gonfiarsi, e poi soffrivano già per la gravità piena. Non mi piacciono gli incarichi al di fuori della Terra, ma il rientro è sempre la parte peggiore.

Chiamai in causa l’addestramento al controllo mentale per non avvertire i disagi. Buffonate. Se il mio istruttore di controllo mentale avesse trascorso un po’ meno tempo accoccolato nella posizione del loto e un po’ di più in Kenia, le sue istruzioni mi sarebbero state più utili. Lasciai perdere e mi concentrai sul problema: come uscire in fretta da quella sauna.

L’atrio dell’Hilton era gradevolmente fresco. Ancora meglio, aveva un bureau viaggi completamente automatizzato. Entrai, trovai una cabina vuota, sedetti al terminale. L’inserviente si materializzò all’istante. — Posso esservi utile?

Le dissi che pensavo di potermela cavare. La tastiera pareva familiare (era un comunissimo Kensington 400).

Quella insistette: — Sarei lieta di fare io per voi. Non ho clienti che aspettano. — Doveva avere sui sedici anni: viso dolce, voce gradevole, modi che mi convinsero che rendersi utile le piaceva sul serio.

L’ultima cosa che volessi era l’aiuto di qualcuno mentre maneggiavo carte di credito che non erano mie. Così le passai una mancia di dimensioni medie e le spiegai che preferivo fare da sola; ma promisi che avrei urlato, se mi fossi trovata in difficoltà.

Lei protestò che non c’era bisogno di mance, ma non insistette per restituire i soldi, e se ne andò.

«Adolf Belsen» prese la sotterranea per Il Cairo, poi il semibalistico per Hong Kong, dove aveva prenotato una stanza al Peninsula; il tutto grazie ai buoni uffici del Diners Club.

«Albert Beaumont» era in vacanza. Prese il Safari Jet per Timbuctu, dove l’American Express l’aveva sistemato per due settimane al lussuoso Shangri-La, sulla riva del mare del Sahara.

La Banca di Hong Kong pagò ad «Arthur Bookman» il viaggio fino a Buenos Aires.

«Archibald Buchanan» visitò la sua città natale, Edimburgo, pagando con la MasterCard. Dato che poteva fare l’intero viaggio in sotterranea, con una coincidenza al Cairo e un cambio automatico a Copenhagen, avrebbe dovuto raggiungere la patria dei suoi avi in un paio d’ore.

Poi usai il computer per fare diverse indagini; ma niente prenotazioni, niente acquisti, e solo memoria temporanea.

Soddisfatta, lasciai la cabina e chiesi all’inserviente con le fossette se l’ingresso della metropolitana che vedevo nell’atrio mi avrebbe portata o meno al Fat Man.

Lei mi spiegò quale percorso seguire. Così scesi al metrò e presi il treno per Mombasa, pagando di nuovo in contanti.

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