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Le sentinelle del cielo

Eric Frank Russell ritorna con queste sue sentinelle degli spazi cosmici e dell'umanità che ormai dilaga per tutta la Galassia. È un romanzo di enigmatiche visioni sideree, di "presenze"inconoscibili, di vaghe minacce provenienti dalle profondità ignorate dello spazio. Ed è il romanzo di David Raven, naturalmente, il telepatico agente segreto della Triade Planetaria, e della bellissima Leina. La coppia ha in comune, tra molte altre cose, un segreto soprannaturale; e grazie ai poteri straordinari di cui è dotata, vigila sull'umanità. Sono David e Leina, le sentinelle del Cielo. Insieme, scrutano il cielo, vigili, in agguato, faccia alle stelle.La fascia favolosa della Via Lattea palpita sui loro capi, mentre nell'ombra, chi sa dove, incombe l'atroce minaccia delle astronavi di Deneb. Da troppe generazioni ormai, la razza umana, colonizzando i pianeti, è rimasta esposta alle insidiose radiazioni cosmiche; e le nuove specie dei "mutanti"fanno capolino ovunque, dando origine a nuove razze umane.Con questo romanzo, E.F. Russell ha saputo narrare l'epopea siderale di un futuro che potrebbe anche essere vero…

Eric Frank Russell

Научная Фантастика18+
<p>Eric Frank Russell</p><p>Le sentinelle del cielo</p><p>1</p>

I membri del Consiglio Mondiale sedevano gravi e solenni, mentre lui camminava verso di loro. Erano dodici, e tutti avevano occhi penetranti, capelli grigi o bianchi, e facce segnate dal tempo e dalle esperienze. In silenzio, con le labbra tese e le bocche serrate, lo guardarono avanzare, mentre il folto tappeto frusciava sotto i suoi piedi.

Il silenzio dell’attesa, gli sguardi intenti, il frusciare del tappeto e l’atmosfera pesante di ansietà inespressa, dimostravano che quello era un momento grave, di quelli che vanno ben oltre lo scorrere delle lancette.

Raggiunto il grande tavolo a ferro di cavallo dove sedevano i membri del Consiglio, lui si fermò a guardarli a uno a uno, cominciando dall’uomo sciatto che sedeva all’estremità sinistra, per passare, con deliberata lentezza, fino a quello grasso che occupava l’ultimo posto a destra.

Il suo sguardo penetrante aumentò il loro nervosismo. Alcuni si mossero a disagio come chi sente la propria sicurezza svanire lentamente. E ognuno dimostrò sollievo quando l’occhiata intensa passava su chi gli stava accanto.

Alla fine, la sua attenzione tornò all’uomo dalla criniera leonina, Oswald Heraty, che sedeva al centro del tavolo. Mentre fissava Heraty, le sue pupille brillarono, e le iridi si punteggiarono d’argento. Parlò lentamente, con tono misurato.

— Capitano David Raven, ai vostri ordini, signore — disse. Appoggiandosi allo schienale della poltrona, Heraty si lasciò sfuggire un sospiro e fissò l’attenzione sull’immenso lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto. Era difficile dire se stava riordinando le proprie idee, se cercava accuratamente di evitare lo sguardo dell’altro, o se reputava necessario fare questa seconda cosa per riuscire nella prima. Gli altri membri del Consiglio tenevano ora la testa girata verso Heraty, un po’ per prestare piena attenzione a quello che avrebbe detto, un po’ perché fissare Heraty era un buon pretesto per non guardare Raven. Tutti avevano seguito con lo sguardo l’ingresso di quest’ultimo, però nessuno voleva esaminarlo approfonditamente, nessuno voleva essere esaminato da lui.

Sempre fissando il lampadario, Heraty parlò con il tono della persona che ha sulle spalle una pesante responsabilità alla quale non può sottrarsi.

— Siamo in guerra.

Tutti rimasero in silenziosa attesa.

— Sarò franco, capitano: mi rivolgo a voi vocalmente perché non ho altra alternativa — continuò Heraty. — Vi prego cortesemente di rispondere nello stesso modo.

— Sì, signore — fu la laconica risposta di Raven.

— Siamo in guerra — ripeté Heraty con leggera irritazione. — Non vi sorprende?

— No, signore.

— Eppure dovrebbe sorprendervi — disse uno dei membri del Consiglio, seccato per l’impassibilità di Raven. — Siamo in guerra da circa diciotto mesi, e soltanto ora lo scopriamo.

— Lasciate parlare me — disse Heraty agitando una mano per interrompere un collega. E per un istante, un solo istante, incontrò lo sguardo di Raven nel formulare la sua domanda.

— Sapevate o sospettavate che eravamo in guerra?

Raven sorrise tra sé.

— Che prima o poi saremmo stati coinvolti, era ovvio fin dall’inizio.

— Da quale inizio? — chiese l’uomo grasso che sedeva all’estrema destra.

— Fin dal momento in cui abbiamo attraversato lo spazio interplanetario e ci siamo stabiliti su un altro mondo — rispose Raven con impassibilità sconcertante. — Da quel momento la possibilità di una guerra è entrata a far parte delle nuove circostanze.

— Volete dire che abbiamo sbagliato, in un modo o nell’altro?

— No. Il progresso si paga. E prima o poi viene presentato il conto.

La risposta non soddisfece nessuno. Il suo modo di ragionare correva con troppa rapidità dalle premesse alla conclusione, e quelli del Consiglio non riuscivano a seguirne la logica.

— Il passato non ha importanza. Noi, come individui di oggi, non possiamo controllarlo. Nostro compito è quello di lottare contro i problemi immediati e quelli del prossimo futuro. — Heraty si passò una mano sulla mascella. — Il problema numero uno è questa guerra. Venere e Marte ci attaccano, e noi, ufficialmente, non possiamo fare niente. Per la semplice ragione che si tratta di una guerra che non è una guerra.

— Una divergenza di opinioni? — chiese Raven.

— All’inizio era così. Ora le cose si sono spinte molto più in là. Dalle parole si è passati ai fatti, e senza alcuna dichiarazione formale di guerra, per la verità. Con tutte le apparenze esterne di amicizia e di fratellanza, quelli stanno attuando la loro linea politica in modo militare, se si può chiamare militare… io non so in quale altro modo descriverlo. — La sua voce prese un tono più irritato. — Stanno comportandosi così da circa diciotto mesi, e solo ora poi scopriamo di essere stati colpiti parecchie volte e duramente. Questo stato di cose potrebbe andare avanti troppo a lungo.

— Tutte le guerre durano troppo a lungo — disse Raven.

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